di P. Josip Jelenić sj
Conferenza 2, 17
febbraio 2012, ore 17,30-19,oo, Via della Pigna – Roma
Il testo che segue è
una proposta panoramica riguardo alla famiglia, secondo il Magistero sociale
della Chiesa che può servire come base e punto di partenza per un successivo
approfondimento.
Alcune
considerazioni introduttive
Sfogliando i documenti
sociali del Magistero troviamo numerosi riferimenti alla famiglia. Oltre a
quelli direttamente e interamente ad essa dedicati, la maggior parte degli
altri la menzionano e trattano in modo indiretto. In altre parole la famiglia
nel Magistero sociale occupa un’alta posizione. Ciò è naturale poiché essa è
riconosciuta come dimensione fondamentale e fondante, la stessa società, in cui
trova il suo ambiente naturale nell’essere, crescere e maturare.
Vorrei iniziare la mia
riflessione con un’osservazione che non
mi pare fuori luogo riguardo al tema proposto. Esistono due tentazioni: una per
i sociologi e altra per la DSC. I primi spesso assolutizzano la concezione
della famiglia, riducendola a gruppo visibile, fondamentale della società cioè
esclusivamente a “fatto sociologico”, trascurando la relazione personale,
interpersonale, spirituale. La DSC, da parte sua, deve porre attenzione a non
idealizzare la sua visione di famiglia trattandola in modo ideale, cioè lontano
dalla famiglia reale rimanendo una bella speculazione, magari teoricamente
corretta, ma lontana dalla vita famigliare quotidiana. Tale pericolo è tanto
più realistico quando si usa prevalentemente il metodo deduttivo, cioè partendo
dai principi e imponendoli in modo forzato alla realtà stessa secondo i quali
la famiglia deve ordinarsi. Tutti sono quindi invitati alla collaborazione
nella ricerca e nello studio della famiglia, fondamentale per la vita dell’uomo
e insieme complessa nella sua realtà relazionale e sociale.
La
famiglia nei documenti sociali della Chiesa.
Per rendere l’analisi
più semplice e comprensibile seguirò i documenti sociali in modo cronologico.
In tal modo è possibile vedere non solo l’atteggiamento del Magistero, ma anche
il suo sviluppo, o evoluzione, riguardo allo studio della famiglia.
Quanta cura (Pio IX,
8.12.1864) sui principali errori dell’epoca
Prende posizione contro
gli errori del comunismo e del socialismo i quali insegnano che “la società
domestica, ossia la famiglia, riceve la sua ragione di esistere solo dal
diritto civile; e perciò dalla legge civile soltanto derivano e dipendono i
diritti di tutti i padri sui figli, e soprattutto il diritto di procurarne
l’istruzione e l’educazione” (QC 5).
L’educazione dei figli è, invece, compito e diritto dei genitori e non delle
istituzioni ideologiche di qualsiasi sistema politico.
Rerum novarum
(Leone XIII, 1891)
Di famiglia si parla in
relazione allo Stato (RN 10a), al diritto alla proprietà privata (RN 9); la è affermata famiglia come
ente a se stante, cioè anteriore allo Stato stesso (RN 9b), il quale essere a servizio della famiglia, aiutarla,
proteggerla e promuoverla. Tale compito lo Stato deve svolgerlo a condizione di
rispettare la natura stessa della famiglia. In altre parole, come rileva la RN,
si tratta dell’aiuto “in caso di gravi violazioni dei diritti reciproci tra i
membri di una famiglia”, come anche tra le diverse famiglie (RN 11). Tale aiuto non deve però
costituire una pretesa da parte dello Stato ad “intervenire a suo talento nel
santuario della famiglia” (RN 11). La
famiglia precede lo Stato perché “è una società retta da potere proprio, che è
quello paterno” (RN 10a). L’aiuto
giusto, ordinato e rispettoso da parte dello Stato alla famiglia è
nell’interesse sia della famiglia, sia della società, sia dello Stato.
Quadragesimo
anno (Pio XI, 1931)
“Il domestico
consorzio”, cioè la famiglia, poiché “è logicamente e storicamente anteriore al
civile” (QA 49; cita la RN 6-30),
per sua natura rafforza il diritto alla proprietà privata (QA 45). In breve, lo Quadragesimo
anno riprende l’insegnamento sulla famiglia già tracciato dalla Rerum novarum.
Divini Redemptoris
(Pio XI, 1937) sul comunismo ateo e sulla dottrina sociale cristiana
Difende l’insegnamento
cattolico sulla famiglia in contrapposizione all’ideologia comunista. Uno dei
mali che porta il comunismo è la distruzione dei valori fondamentali del
matrimonio e della famiglia tramite un emancipazione imposta (DR 11) che mette in questione il
fondamento della famiglia, il matrimonio. Dio stesso, infatti, ha voluto il matrimonio
e la famiglia: “Come il matrimonio e il diritto all’uso naturale di esso sono
di origine divina, così anche la costituzione e le prerogative fondamentali
della famiglia sono state determinate e fissate dal Creatore stesso, non
dall’arbitrio umano né da fattori economici” (DR 28: cita la Casti connubii, 1930, di Pio XI,
enciclica sul matrimonio). Il matrimonio
– tra un uomo e una donna – è l’elemento essenziale della famiglia secondo la
DSC.
Summi
pontificatus (Pio XII, 1939)
Considera il compito speciale della famiglia
nell’azione apostolica della Chiesa, tramite l’educazione cristiana dei figli (SP 34).
Allocuzione alle donne
italiane su “La
fondamentale e multiforme missione della donna nel momento presente” (Pio XII, 1945), in
occasione dell’Udienza delle associazioni femminili.
Fra i suoi principali
contenuti: Forte richiamo al rispetto della dignità della donna (2). Eguale dignità ma qualità
particolari dei due sessi (4) che
sono ordinati l’uno all’altro (5).
Lo stato matrimoniale ha effetti positivi per tutta la società se è vissuto
nell’ordine (6). L’assenza della
madre dalla casa produce deformazioni nell’educazione dei giovani (13). Invito alle donne e alle giovani
cristiane a partecipare intensamente alla vita pubblica (15).
Mater et magistra
(Giovanni XXIII, 1961)
La
famiglia si fonda sul matrimonio ed è fonte di vita:
“Dobbiamo proclamare solennemente che la vita
umana va trasmessa attraverso la famiglia, fondata sul matrimonio uno e
indissolubile, elevata per i cristiani, alla dignità di Sacramento” (MM 201). Giovanni XXIII rafferma la
posizione di PIO XII riguardo alla famiglia, in relazione, in particolare alla
proprietà privata e allo Stato (MM 48).
Pacem in terris
(Giovanni XXIII, 1963)
Considera
indirettamente la famiglia, in relazione alla pace.
Gaudium et spes (CVII, 1965): Concilio Vaticano II
- Costituzione pastorale su “La Chiesa nel mondo contemporaneo”
Dedica alla famiglia la
Seconda parte (“Alcuni problemi più
urgenti”), Primo capitolo (Dignità
del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione), (nn. 47-52).
È indicativo che il
Concilio colleghi il bene della persona
e della società alla salute, “ben-essere”, alla “felice situazione della
comunità coniugale e familiare” (GS 47a). Non si può dire che sia così in
tutto il mondo. Ci sono anche Paesi, dove l’istituto coniugale e familiare si
trova in una situazione opposta cioè minacciata
“dalla poligamia, dal divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre
deformazioni (…), dall’egoismo, dall’edonismo e da usi illeciti contro la
generazione”. A ciò si possono aggiungere, anche le difficoltà sulle condizioni
economiche, socio-psicologiche e civili” (GS 47b).
I
punti capitali della dottrina della Chiesa sulla
famiglia sono: il matrimonio (tra un
uomo e una donna) e indissolubilità.
“L’intima comunità di vita e d’amore
coniugale, fondata dal Creatore e
strutturata con leggi proprie, è
stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall’irrevocabile
consenso personale (…) vincolo sacro (…)
che non dipende dall’arbitrio dell’uomo. Perché è Dio stesso l’autore del
matrimonio” (GS 48a).
La famiglia cristiana
(genitori, figli, altri membri), quindi, nasce dal matrimonio, come immagine e
partecipazione del patto d’amore del Cristo e della Chiesa (cf. GS 48e).
Nel trattare dell’amore coniugale, la GS indica due dimensioni essenziali: il valore
umano dell’amore coniugale e le sue manifestazioni e proprietà. In quanto
al valore umano dell’amore coniugale, “proprio perché atto eminentemente
umano”, afferma la GS, “essendo diretto da persona a persona con un sentimento
che nasce dalla volontà, quell’amore abbraccia il bene di tutta la persona, e
perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità i sentimenti
dell’animo e le loro manifestazioni fisiche e di nobilitarli come elementi e
segni speciali dell’amicizia coniugale” (GS
49a).
A ciò si aggiunge che
“il Signore si è degnato di sanare ed
elevare quest’amore con uno speciale dono di grazia e carità”, perciò, è superiore alla pura inclinazione erotica
che, egoisticamente coltivata, presto e miseramente svanisce” (GS 49b).
Riguardo alle manifestazioni e proprietà dell’amore
coniugale, è da indicare che “gli atti
coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorabili e degni e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi
significano ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi
stessi” (GS 49c). Per tale impegno, i coniugi devono coltivare “la fermezza
dell’amore, la grandezza d’animo, lo spirito di sacrificio” con la preghiera (GS 49d).
Ancora: “L’autentico
amore coniugale godrà più alta stima se
si formerà al riguardo una sana
opinione pubblica, se i coniugi cristiani danno testimonianza della fedeltà e dell’armonia nell’amore oltre che
nella sollecitudine dell’educazione dei
figli, e se fanno la loro parte nel necessario rinnovamento culturale,
psicologico e sociale a favore del matrimonio e della famiglia” (GS 49e).
La successiva
caratteristica di cui parla la Gaudium et
spes è la fecondità responsabile del
matrimonio. Abbiamo già detto che “il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla
procreazione ed educazione della prole” (GS 50a). Si tratta del dovere e della missione propri dei coniugi (GS 50b) che devono essere adempiuti
“con umana e cristiana responsabilità e
con docile reverenza verso Dio” (GS 50c). Tale decisione, perché
responsabile, deve tener conto anche delle “condizioni di vita del proprio
tempo e del proprio stato di vita, tanto nel loro stato materiale, che
spirituale”. Deve considerare “la scala dei valori del bene della comunità
familiare, della società temporale e della stessa Chiesa. Questo giudizio in
ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi” (GS 50c).
Amore
coniugale e rispetto della vita. In via di principio
l’amore coniugale è responsabilmente aperto alla vita. Tuttavia, il Concilio
riconosce le odierne reali difficoltà che la vita con sé porta e che possono
mettere in pericolo la stessa fedeltà coniugale, (cioè il riferimento è alle
condizioni sociali ed economiche) o, come indica la GS, le difficoltà
nell’ordinare la vita coniugale: “Là dove è interrotta l’intimità della vita
coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir
compromesso il bene dei figli: allora, sono in pericolo infatti l’educazione
dei figli e il coraggio di accettarne altri” (GS 51a).
Il documento, inoltre,
ci ricorda che “quando si tratta di
comporre l’amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il
carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione
e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi, che
hanno il loro fondamento nella natura stessa della persona umana e dei suoi
atti destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della
mutua donazione e della procreazione umana; e tutto ciò non sarà possibile se
non venga coltivata con sincero animo la
virtù della castità coniugale” (GS
51c).
Il discorso sulla
famiglia finisce con l’invito a tutti di impegnarsi per il bene del matrimonio
e della famiglia. Esso così unisce un “dovere” per tutti, perché “la famiglia
(…) è veramente il fondamento della società”. Perciò “tutti coloro che hanno
influenza sulla società e le sue diverse categorie (…), devono collaborare al bene del matrimonio e della
famiglia” (GS 52a).
Dignitatis humanae (CVII, 1965), Dichiarazione su “La
libertà religiosa”
Difende il diritto
della famiglia ad ordinare la propria vita religiosa e ad educare i figli (DH 5).
Populorum progressio
(Paolo VI, 1967)
Mette in relazione
l’importanza della famiglia con lo sviluppo autentico e con la collaborazione
tra i popoli. “La famiglia naturale,
stabile e monogamica”, afferma il documento, “quale è stata concepita nel
disegno divino e santificata dal cristianesimo, deve restare ‘luogo d’incontro
di più generazioni che si aiutano vicendevolmente ad acquistare una saggezza
più grande e ad armonizzare i diritti delle persone con le altre esigenze della
vita sociale’” (PP 36; cita GS 52).
Laborem exercens (Giovanni
Paolo II, 1981)
Il tema principale
della LE è il lavoro e, quindi, lavoratore stesso. Perciò anche la famiglia è
vista attraverso l’ottica del lavoro. Esiste una relazione molto stretta tra lavoro e famiglia perché esso è “il fondamento su cui si forma la vita
familiare” e l’educazione nella famiglia. Questi due valori – famiglia e
lavoro – “devono unirsi tra sé correttamente, e correttamente permearsi”. Tale
ruolo del lavoro deve essere capito come “condizione per rendere possibile la
fondazione di una famiglia, poiché questa esige i mezzi di sussistenza, che in
via normale l’uomo acquista mediante il lavoro” (LE 10a). Lo stesso vale anche riguardo all’educazione dei figli.
Cioè il lavoro condiziona il processo di educazione nella famiglia. Inoltre, il
lavoro permette la costituzione di una nuova famiglia (LE 10a).
L’uomo con la sua
laboriosità sostiene e promuove la propria famiglia (cf. LE 16b). Ciò si riferisce sia all’uomo che alla donna. Perciò la LE
si impegna a favore di assegni o contributi alla madre che si dedica
esclusivamente alla famiglia (cf. LE 19b).
Questo è uno dei modi di vera promozione della donna che non deve farle
abbandonare il suo ruolo fondamentale nella famiglia in quanto madre (cf. LE 19c).
Tuttavia,
è “la famiglia che costituisce uno dei più importanti termini di riferimento”
(per la Chiesa) “secondo i quali deve essere formato l’ordine socio-etico del
lavoro umano”. Infatti, “la famiglia è, al tempo stesso una comunità resa
possibile dal lavoro e la prima interna scuola di lavoro per ogni uomo” (LE 10a).
Familiaris consortio
(Giovanni Paolo II, 1981), “Esortazione
apostolica, Sui compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi (Non fa
parte dei documenti della DSC).
Siccome l’intero
documento è dedicato alla famiglia, scelgo solo elementi che mi sembrano di
maggiore importanza: natura, compiti, difficoltà, sfide. In altre parole, la
famiglia viene considerata nel suo compito sociale (cf. FC 42c).
Mi sembra molto
importante rilevare che GP II chiede la conoscenza
della situazione concreta nella quale si trova la famiglia di oggi: “Poiché
il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia riguarda l’uomo e la donna
nella concretezza della loro esistenza quotidiana in determinate situazioni
sociali e culturali, la Chiesa, per
compiere il suo servizio, deve
applicarsi a conoscere le situazioni entro le quali il matrimonio e la
famiglia oggi si realizzano” (FC 4).
La famiglia è intesa
come prima e vitale cellula della
società: tra le due realtà ci sono vincoli
vitali e organici. “Poiché il Creatore di tutte le cose ha costituito il matrimonio quale principio e fondamento
dell’umana società’, la famiglia è divenuta la prima e vitale cellula della
società” (FC 42a).
In quanto ai vincoli vitali tra famiglia e società:
dalla prima “nascono i cittadini” e in essa trovano “la prima scuola di quelle
virtù sociali, che sono l’anima della vita e dello sviluppo della società
stessa” (FC 42b). Senza famiglia,
quindi, difficilmente può esistere e funzionare la società. Esistono, perciò,
obblighi reciproci. La famiglia, poiché è la prima scuola di socialità, deve
educare i figli nello spirito di apertura verso gli altri alla partecipazione
responsabile nella vita sociale: “le relazioni tra i membri della comunità
familiare sono ispirate e guidate dalla legge della “gratuità” che, rispettando
e favorendo in tutti e in ciascuno la dignità personale come unico titolo di
valore, diventa accoglienza cordiale, incontro e dialogo, disponibilità
disinteressata, servizio generoso, solidarietà profonda” (FC 43b). In tale modo la famiglia diventa la forza, “il luogo
nativo e lo strumento più efficace di umanizzazione e di personalizzazione
della società” (FC 43d).
La società, da parte
sua, deve proteggere, rispettare e promuovere la famiglia, secondo il principio
di sussidiarietà: “convinte che il bene della famiglia costituisce un valore
indispensabile e irrinunciabile della comunità civile, le autorità pubbliche
devono fare il possibile per assicurare alle famiglie tutti quegli aiuti –
economici, sociali, educativi, politici, culturali – di cui hanno bisogno per
far fronte in modo umano a tutte le loro responsabilità” (FC 45b).
Il documento, al n. 46b elenca i diritti della famiglia: diritto di ogni uomo e donna a fondare una
famiglia e ad avere i mezzi adeguati per sostenerla; di esercitare la propria
responsabilità nell’ambito della trasmissione della vita e dell’educazione dei
figli; dell’intimità della vita coniugale e familiare; della stabilità del
vincolo e dell’istituto matrimoniale; di educare i figli secondo le proprie
tradizioni e valori religiosi e culturali, ecc.
Questi e gli altri
diritti della famiglia saranno in seguito ordinati e formulati nella Carta
dei diritti della famiglia (1983).
Sollicitudo rei
socialis (Giovanni Paolo II, 1987)
A differenza della LE,
la SRS non considera direttamente la famiglia. Indirettamente, essa può essere
vista in relazione con il principio di solidarietà, in quanto condizione per la
costruzione di una società a misura di uomo. La solidarietà si impara e si
vive, prima di tutto in famiglia, per
essere poi applicata all’intera società. Solo al n. 25 si parla di concetto errato e perverso di sviluppo umano usato
nelle campagne sistematiche contro la natalità. I condizionamenti economici e
la “opinione pubblica” possono indurre la coppia nella tentazione di non
desiderare dei figli.
Centesimus annus
(Giovanni Paolo II, 1991)
Giovanni Paolo II rende
evidente l’importanza e la centralità
della famiglia in riferimento alla persona tramite la sua relazione diretta
con l’“ecologia umana”: “la prima e fondamentale
struttura a favore dell’”ecologia umana” è la famiglia, in seno alla quale
l’uomo riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità e al bene, apprende che cosa vuol dire amare ed
essere amati e, quindi, che cosa vuol
dire in concreto essere una persona” (CA
39a).
In seguito viene
chiarita la nozione di ‘famiglia’: “S’intende qui la famiglia fondata sul matrimonio, in cui il dono reciproco di sé da
parte dell’uomo e della donna crea
un ambiente di vita nella quale il
bambino può nascere e sviluppare le sue potenzialità, diventare consapevole
della sua dignità e prepararsi ad affrontare il suo unico e irripetibile
destino” (CA 39a).
Di fronte alle
difficoltà e sfide, alle concezioni errate al riguardo, “occorre tornare a
considerare la famiglia come il santuario della vita. Essa,
infatti, è sacra: è il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente
accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può
svilupparsi secondo le esigenze di un’autentica crescita umana. Contro la
cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della vita” (CA 39b).
Compendio della DSC
(Pontificio Consiglio Iustitia et Pax, 2005)
Dedica alla famiglia il
Quinto capitolo, La
famiglia cellula vitale della società, nn. 209-254.
Il Compendio spiega la famiglia tramite cinque proprietà.
(1)
La famiglia è la prima società naturale
(n. 209-211) e perciò è di importanza vitale per la persona (n.
212) e per la società (n. 213-214).
(2) Il matrimonio è il
fondamento della famiglia: ha valore in se stesso e i suoi tratti caratteristici sono: “la totalità, per cui i coniugi si donano
reciprocamente in tutte le componenti della persona, fisiche e spirituali; l’unità che li rende “una sola carne”; l’indissolubilità e la felicità che la
donazione reciproca e definitiva comporta; la fecondità a cui essa naturalmente si apre” (n. 217); procreazione
ed educazione dei figli (n. 218). Il matrimonio è un sacramento (n. 219-220).
(3) La soggettività sociale
della famiglia: /a/ l’amore e la
formazione di una comunità di persone (“tanto necessaria in una società
sempre più individualistica”) (n. 221), (n. 222-224). Proprio “la natura
dell’amore coniugale esige la stabilità del rapporto matrimoniale e la sua
indissolubilità” (n. 225). Divorziati (n. 226), unioni di fatto (n. 227),
unioni omosessuali (n. 228). /b/ la famiglia è il santuario della vita (n.
230-237). /c/ compito educativo (n. 238-243). /d/ dignità e diritti dei bambini
(n. 244-245).
(4) La famiglia è il più
importante promotore della vita sociale:
/a/ Solidarietà familiare. Nella famiglia
s’impara a vivere con gli altri, prima nella propria famiglia e poi nella
convivenza con le altre famiglie. Si tratta della solidarietà effettiva. “La
soggettività sociale delle famiglie, (…), si esprime anche con la
manifestazione di solidarietà e di condivisione, non solo tra le famiglie
stesse, ma pure mediante varie forme di partecipazione alla vita sociale e
politica” (n. 246). Così le famiglie si
trasformano da oggetto a soggetto dell’azione sociale e politica in tutti i
campi (cf. n. 247).
/b/ Particolarmente
importante è il rapporto tra la famiglia,
da una parte, e vita economica e lavoro,
dall’altra. “La famiglia (…) va considerata, a buon diritto come una
protagonista essenziale della vita economica, orientata non dalla logica del
mercato, ma da quella della condivisione e della solidarietà tra le
generazioni” (n. 248).
“Un rapporto del tutto
particolare lega la famiglia e il lavoro:
“la famiglia costituisce uno dei più importanti termini di riferimento, secondo
i quali deve essere formato l’ordine socio-etico del lavoro umano” (n. 249a; cita
LE 10). Non si deve mai dimenticare che “il lavoro è essenziale in quanto
rappresenta la condizione che rende possibile la fondazione di una famiglia, i
cui mezzi di sussistenza si acquistano mediante il lavoro” (n. 249b; vedi anche
n. 250, 251).
(5) La società a servizio
della famiglia. /a/ Per rendere possibile un rapporto corretto e
costruttivo tra famiglia e società è necessario “il riconoscimento della soggettività e della priorità sociale della
famiglia” (n. 252). /b/ Questo si concretizza “nel riconoscimento, nel rispetto e nella promozione dei diritti della famiglia”
(n. 253). /c/ Con ciò si superano “le concezioni meramente individualistiche” e
si assume la “dimensione familiare come prospettiva, culturale e politica,
irrinunciabile nella considerazione delle persone” (n. 254).
Caritas in veritate
(Benedetto XVI, 2009)
Non tratta direttamente
della famiglia, ma all’interno di grandi temi come quelli di uno sviluppo a
misura di uomo (CV 9), della fraternità universale, della gratuità, della
carità. Al n. 15 richiama l’attenzione sul messaggio della Humanae vitae (Paolo VI, 1968) che “sottolinea il significato insieme unitivo e procreativo
della sessualità, ponendo così a fondamento della società la coppia degli
sposi, uomo e donna, che si
accolgono reciprocamente nella
distinzione e nella complementarietà; una coppia, dunque, aperta alla
vita” (CV 15b). Benedetto XVI
pone l’accento sull’importanza del “collegamento tra etica della vita e etica
sociale” (CV 15b). Il tema della
procreazione è ripreso al n. 28d: “L’apertura alla vita è al centro del vero
sviluppo”. Lo sviluppo autentico, quindi, è condizionato dalla generosità alla
vita. “Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della
vita, finisce per non trovare più motivazioni e le energie necessarie per
adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità
personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di
accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono” (CV 28d). Anche in tale prospettiva, l’aborto non è accettabile, è
contro la vita. È la morte della vita.
Il tema della vita,
riguardo alla famiglia, è ripreso al n. 44, precisamente il numero che parla di
crescita demografica: “si tratta di
un aspetto molto importante del vero
sviluppo, perché concerne i valori irrinunciabili della vita e della
famiglia” (CV 44a; cita PP. 65).
“Considerare l’aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è
scorretto, anche dal punto di vista economico (…). Resta ovviamente doveroso
prestare la debita attenzione ad una procreazione responsabile, che costituisce
tra l’altro, un fattivo contributo allo sviluppo
umano integrale” (CV 44a).
Quest’ultimo ne suppone senz’altro “il pieno rispetto dei valori umani anche
nell’esercizio della sessualità: non la si può ridurre a mero fatto edonistico
e ludico, così come l’educazione sessuale non si può ridurre a un’istruzione
tecnica, con l’unica preoccupazione di difendere gli interessati da eventuali
contagi o dal “rischio” procreativo” (CV
44a).
Detto questo, è chiaro
che “l’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed
economica (…) In questa prospettiva, gli Stati sono chiamati a varare le
politiche che promuovono la centralità e
l’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una
donna, prima e vitale cellula della società” (CV 44b; cita AA 11).
(Aggiungo la dottrina
esposta nel Catechismo della Chiesa
Cattolica riguardo alla famiglia, a cui spesso si richiama anche il
Magistero sociale).
Il documento distingue
tra matrimonio e famiglia: il primo porta alla seconda. “Il patto matrimoniale
con cui l’uomo e la donna (1)
stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita (2), per sua natura ordinata al bene dei coniugi (3) e alla
procreazione e educazione della prole (4), tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di
sacramento (5)” (C 1601).
Sono
essenziali, quindi, del matrimonio: l’unità (1664), l’indissolubilità (1640-1645,
1664), la fedeltà dell’amore coniugale (1646-1651), l’apertura alla fecondità
(1652-1654).
La
famiglia, nella visione cristiana, si basa sul matrimonio tra un uomo e una donna,
e si fonda sul consenso dei contraenti, cioè sulla volontà di donarsi
mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere un’alleanza d’amore fedele e
fecondo (1662).
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