etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


mercoledì 12 marzo 2014

QUATTRO MOSSE PER COMBATTERE LA CORRUZIONE


In risposta alla lettera di Roberto Saviano a Repubblica 
del 12 marzo 2014

Dopo aver letto con attenzione l’articolo di Roberto Saviano apparso su Repubblica, credo che sia molto importante ampliare il dibattito cercando di chiarire alcuni punti importanti.
Innanzitutto vorrei sottolineare che il problema suscitato da Saviano guarda la corruzione, come singolo elemento da combattere; secondo, il piano su cui l’autore si pone è squisitamente e oserei dire solo politico.
Ebbene, conoscendo le idee e la posizione di Roberto Saviano non posso che essere d’accordo con quanto espresso in generale e con il decalogo suggerito, mi farebbe piacere però prendere per mano il lettore attirando la sua attenzione su un percorso più completo rispetto al tema trattato.
Sperando di mantenermi nell’ambito di uno spazio giornalistico e mentale accessibile a tutti desidererei sottolineare in primo luogo che il problema che stiamo affrontando, ben rilevato dalla Corte dei Conti, non riguarda la sola corruzione, bensì anche la concussione e la violenza. Inoltre il piano di riferimento non credo che debba essere limitato al contesto politico, quanto più invece allargato al contesto socio-politico-economico.
Il problema di queste tre piaghe infatti non è solo politico, ancorché la politica vi giuochi per forza di cose un ruolo molto importante. Io direi che il problema innanzitutto è di ordine etico e quindi di disconoscenza del fatto che occorre ritornare ad una coscienza del rispetto delle regole.
Il fatto quindi è innanzitutto sociale, in quanto l’etica deve essere una costante informativa della vita di ogni persona sin dai primi anni della sua vita, e ciò lo dico per implicare un fattore importante di cui attualmente si pensa di poter fare a meno che è l’educazione attraverso l’esempio ricevuto in famiglia.
In secondo luogo il concetto etico deve informare la vita politica, non tanto dei politici eletti che siedono in parlamento, quanto più quella di coloro che li eleggono per rivestire tali ruoli. E’ inutile dire quindi che non servono giudici e l’ex procuratore Di Pietro ce ne ha dato la prova: i repulisti giudiziari non servono a cambiare la situazione perché o si è convinti del principio del bene comune che deve informare la politica in ogni suo aspetto e ad ogni livello, oppure è inutile qualsiasi escamotage d’ordine elettorale.
Infine terminerei l’argomento dei piani di riferimento con il contesto economico, quale fulcro centrale della vita socio-politica. Il contesto economico deve essere informato da una conoscenza effettiva di quella che si chiama giustizia sociale e che i cittadini usano chiamare soltanto giustizia. Ma perché accanto al nome giustizia deve esserci l’attributo sociale?  La risposta è semplice, anche se non viene insegnata nelle nostre scuole. 
La giustizia sociale si compone di tre elementi qualitativi al suo interno: 1) la giustizia legale, 2) la giustizia redistributiva; 3) la giustizia commutativa.

So che non è questa la sede per approfondire però ritengo necessario sottolineare almeno che mentre la giustizia legale e redistributiva può essere in qualche modo, “trotesco”, riferita a chi detiene il potere, la giustizia commutativa riguarda soggettivamente ciascuno di noi come persona che sa bene qual è il metro di paragone che usa ed il peso con cui misura: naturalmente l’onestà individuale vorrebbe che fosse uguale a quello che si vorrebbe fosse usato per se stessi.
Allora? come dirimere il problema visto che la nostra società è insensibile ai temi etici? Visto che le condanne per evasione sono comunque avversate, che in parlamento e nelle poltrone di governo possono sedere, e a volte anche essere chiamate a sedersi, persone non proprio “specchiate” sotto il profilo della correttezza comportamentale. Certo non perché debbano essere colpevolizzati, la nostra costituzione parla chiaro riguardo alla presunzione di innocenza, ma solo per conveniente opportunità, per indurre così un comportamento virtuoso che creando dei precedenti, magari da persone riscontrate in seguito innocenti (non per prescrizione o per opinabili archiviazioni) non permetta più simili comportamenti e ci allinei a quelli consueti in altri Paesi. Ciò creerebbe quell’orientamento necessario al cambiamento.
Inoltre, continuando il discorso, visto che l’inciucio tra economia, politica e finanza è sempre dietro l’angolo; è sempre pronto ad esplodere anche nei casi più imprevedibili, come muoversi?
La soluzione per chi come me si occupa di etica da lungo tempo ( cfr. www.certificazionetica.org ; www.agenda-etica.blogspot.com  ; www.4metx.it ) è facile, anche perché è una battaglia che stiamo conducendo da un decennio pieno. Questa soluzione si chiama “certificazione etica”, vale a dire un metodo che trasversalmente a livello socio-politico-economico, interessa tutti i settori sociali, economici e politici del nostro Paese.
Per chiunque voglia approfondire basta andare sui siti indicati e leggere, cercando di capire significati e prospettive. Se la lettura è accurata e fatta con coscienza ci si accorgerà che la via dalle certificazione etica è non solo semplice; ma anche umanamente auspicabile perché tende a ricomporre quel tessuto di fiducia orami troppo sfilacciato dalla diffidenza generalizzata ad ogni livello di relazione.
Questa certificazione non è a controllo terzo perché abbiamo visto che tutto ciò che è a controllo terzo può essere soggetto a corruzione, concussione e/o violenza. Quello che cerchiamo di fare invece è di creare una coscienza nei rapporti tra le persone che escluda il dolo ed il raggiro. Certo, qualcuno potrà sorridere pensando che si tratti di un’utopia. In realtà è invece quanto di più semplice si possa immaginare.
Il percorso di questa certificazione etica è lineare e si basa su quattro step “quattro mosse”: 1) la competenza professionale; 2) la conoscenza dei limiti etici della professione; 3) la trasparenza; 4) la censura sociale.
Mi rendo conto che molti si chiederanno spiegazioni dei significati e dei contenuti di queste “quattro mosse”, ma non è difficile spiegarle.
Intanto possiamo dire apertamente che tale metodologia è stata inserita in un progetto di legge presentato nella scorsa legislatura e che dal 13 novembre 2009 è rimasto giacente presso la X Commissione affari economici della Camera dei deputati, con il nome pdl 2933, senza essere mai messa all’ordine del giorno.
Eppure il progetto di legge era stato presentato e sottoscritto da dieci parlamentari di centro destra, basta prendere il progetto per leggerne i nomi, i quali evidentemente accortisi che lo stesso era veramente etico e quindi stringente, si son ben guardati dal discuterlo per farlo divenire legge dello stato.
Ora il Comitato di Promozione Etica onlus vuole reiterarlo con i dovuti emendamenti aggiuntivi che riguarderanno la spending review, le quote rosa ed infine la certificazione delle imprese all’export. Il problema che ritarda tale ripresentazione è il quibus della durata della presenta legislatura. Ma se si avrà sentore che ci siano i presupposti per una sua durata minima, allora verrà tranquillamente ripresentata.
Torniamo alla spiegazione. Intanto dico subito a chi avrà la pazienza di andarsi a leggere il suddetto pdl 2933, che troverà tutte le spiegazioni, tuttavia cercherò di raccontarle in breve:
1)     la competenza professionale è uno dei mali del nostro Paese: chiunque di noi sa bene che prima di accordarsi con un professionista o scegliere un fornitore deve pensarci molte volte e cercare di capire qual è la reale competenza professionale. Non c’è bisogno di fare un giro, basta pensare a ciò che accade negli uffici pubblici, nelle banche, nelle assicurazioni, negli ospedali, negli studi di avvocato, o di commercialista senza andare oltre. L’entrata in vigore della legge 4/13 anche se è stato un momento importante, sembra essere sempre meno stringente e pertanto riteniamo che avere invece una “attestazione di Competenza professionale”, non controllata da un ente terzo, ma direttamente da chi fruisce del prodotto o servizio siamo certi che servirà a smascherare tanti abusivi.
2)     La competenza dei limiti etici della professione è qualcosa che nessuno contempla nella propria operatività. E tanto meno viene insegnata nelle scuole e nelle università. Si conoscono appena,  e a volte anche male i soli limiti legali. I limiti etici sono qualcosa di molto più coercitivo a livello di coscienza e farebbe, attraverso quello che si chiama senso di colpa espresso da una coscienza avvertita, la fortuna del nostro Paese, evitando gli atti inconsulti procurati dal rimorso. Infatti va ben spiegato che mentre i limiti legali sono sul piano organizzativo tendente a migliorare le relazioni tra le persone, essi incontrano in caso di violazione delle norme due momenti, il primo riguardante l’interpretazione della norma e quindi della gravità della violazione; il secondo la possibilità di sfuggire alla sanzione, come ben sappiamo, magari attraverso una corruzione, attraverso la prescrizione, attraverso un buon avvocato ecc. Insomma come si dice non v’è certezza del diritto. Ma se sul piano organizzativo esiste tutto ciò, così non è sul piano esistenziale, dove la norma è etica e pertanto la violazione è di immediata percettibilità e la sanzione che si chiama rimorso, agisce immediatamente colpendo il nostro intimo più profondo.  Certo alcuni rideranno a sentir parlare di rimorso, ma a questi vorrei dire che il rimorso esiste ed è molto grave ed il risultato, (che ancora non ho scientificamente provato ma che sarà oggetto di un mio preciso studio) è il cosiddetto gesto inconsulto di cui sono pieni i nostri giornali e mass media. Ci chiediamo sempre come mai una conosciuta da tutti come “tanto brava persona” arrivi ad uccidere madre figli ed altri senza alcuna spiegazione! Io sono certo che questo gesto è causato da un rimorso, magari provocato da una colpa lontana nel tempo, ma che al momento opportuno è scoppiata come una bomba. Allora facciamo attenzione ai limiti etici perché il loro superamento necessita prima o poi, per ragioni prettamente umane, una rilegittimazione di chi si sente colpevole.
3)     La trasparenza. Questo è l’elemento clou del percorso perché la trasparenza pur se da molti avversata e vista come negativa è invece espressamente positiva. Pensiamo soltanto alle intercettazioni ambientali, come si dice. Se tutti sapessero di essere intercettati porrebbero in atto comportamenti leciti e sani. Purtroppo questo non viene capito. Chi è trasparente non ha nulla da temere, perché la sua azione sbagliata può essere frutto di errore e non di dolo, come invece siamo obbligati continuamente ad osservare. Inoltre un altro carattere importante della trasparenza è la creazione dell’orientamento naturale alle best practice, vale a dire che a forza di comportarsi bene tale metodologia diviene naturale e connaturata al punto che non si ha alcun bisogno di sforzarsi per comportarsi bene perché è divenuta un’abitudine.
4)     La censura sociale infine è quell’elemento discriminante che fa in modo che non si faccia di tutta l’erba un fascio, ma che ci sia la possibilità di tirarsi fuori dal mazzo delle categorie attribuite. Spesso sentiamo dire “I politici tutti ladri”, “gli avvocati tutti disonesti” oppure “i commercianti tutti evasori”, ebbene occorre farla finita con i luoghi comuni che avviliscono la nostra società e quindi la certificazione etica permetterebbe di distinguersi da chi non si comporta nel rispetto delle regole. L’evidenziazione di una pubblicità comparativa diviene l’elemento discriminante sulla base del quale scegliere. Certo la censura sociale non vuole mettere fuori nessuno, ma vuole soltanto distinguere tra coloro che rispettano le regole e coloro che non le rispettano o le eludono. Soltanto dando la possibilità a chi si comporta bene di dire “guarda che io non mi comporto come quello li” identificando chi non rispetta le regole, dà la certezza della linearità di comportamento, per due semplici motivi. Il primo è che io per dirlo devo essere ineccepibile; secondo che devo essere certo ed avere le prove del comportamento errato dell’altro.
Certamente la spiegazione non è esaustiva, ma indicativa che con “quattro mosse” e senza giudici o garanti o authority varie, il tessuto sociale grazie all’applicazione vera dell’etica cambia la nostra vita.

                                                                                                   Prof. Romeo Ciminello
                                                                                       rciminello@certificazionetica.org
                                                                            Presidente del Comitato di promozione Etica Onlus


lunedì 10 marzo 2014

ETICA E DIRITTO INTERNAZIONALE….PACTA SUNT SERVANDA

Una politica ideologica, sia essa giacobina o clericale, non conosce che le pure essenze(debitamente semplificate) e si può avere ferma fiducia che il suo platonismo la condurrà sempre, con una precisione infallibile, alla inesistenza. Nella storia, lo ricordavamo or ora, non si hanno tesi che si affrontano come in un libro o in una discussione accademica, ove tutto si conclude nell’intima e meritoria soddisfazione di colui che ha ragione e ha saputo farla valere: si hanno forze concrete cariche di umanità, gravate da fatalità e contingenze, che sono nate dall’avvenimento, e delle quali il politico deve misurare il significato esistenziale. J. Maritain Umanesimo Integrale,Ed. Borla, pag. 244.



In questo nuovo post non parlerò della festa della donna, del riconoscimento e del rispetto di genere, della legge elettorale e delle quote rosa richieste da alcune parlamentari... la mia riflessione riguarda il fatto che  se non la finiamo di effettuare una festa, laddove festa non è, se continuiamo ad invocare un riconoscimento per legge e non per coscienza naturale, e soprattutto, non per consapevolezza culturale, tutto ciò che facciamo è posticcio.


QUOTE ROSA E PARITA’ DI GENERE
Ritengo infatti che tutte le donne di buon senso quando oggi si vedono regalare una mimosa debbano sospettare a ragione, che l’istinto maschile (maschilismo) continui a strumentalizzare questa differenza di sesso che poi, finita la festa si concretizza in nuove violenze, soprusi e prevaricazioni. Io non farei una festa della donna trionfante di mimosa, ma piuttosto, come giustamente è avvenuto, con l’accensione della luce rossa sulla fontana dei dioscuri del Quirinale, creerei un simbolo di riflessione e di rispetto, come ogni tanto la nostra comunità, dimentica dei valori, riesce tuttavia a creare.  Esempio concreto sono l’accensione delle luminarie al Colosseo ogni volta che si esegue una condanna a morte, oppure il corteo di luci silenziose il 16 ottobre in memoria della deportazione degli ebrei romani o del 9 novembre per la notte dei cristalli. Quindi invece della mimosa, delle feste e della ricorrenza consumistica, cerchiamo di proporre in termini di genere una nuova impostazione: creiamo un percorso nelle scuole, nelle istituzioni, senza fare feste, ma indicando un lavoro da fare, una ricerca, un simbolo che non venga venduto ai crocicchi delle strade dagli extracomunitari, ma un simbolo che interiorizzi nei comportamenti il rispetto per l’altro,  che se poi è donna, questo non deve significare nulla di diverso. Finché infatti avremo la necessità di invocare una legge per rispettare una donna, significa che abbiamo fallito il nostro obiettivo di umanità. Le differenze devono essere rispettate per consapevolezza del diritto e non certo per paura della sanzione. Ma questo è un discorso etico che la nostra società sembra non considerare.

IL CONFLITTO SECESSIONISTA
 Quello di cui vorrei parlare oggi invece è la necessità di fare chiarezza sulla situazione che si sta delineando in Ucraina con la volontà espressamente velata della Russia di annessione della Crimea. Perché? la risposta è che si rende necessario per fugare le prese di posizione superficiali come l’ultima postata dal Comico Grillo sul suo blog. Prendendo evidentemente spunto dalla situazione in atto in quella zona del mondo e forse anche supportato da alcuni venti separatisti provenienti dalla Scozia. Il Comico del M5S non trova argomento più interessante, dopo le espulsioni, di indicare la soluzione della possibile divisione dell’Italia, come ultima novità a supporto delle sue “boutades”. Certo se le persone di buon senso dovessero veramente seguire quanto suggerito nel suddetto post, la situazione italiana sarebbe preoccupante, ma non tanto per la paventata idea di divisione, quanto più per l’ignoranza che si sta impossessando vieppiù di tutti coloro che ritengono serie le “ idee buffe” di un Comico e dei suoi seguaci.  La gravità della situazione è data dal fatto che in una pagina di post, si distruggono ideali e storia che hanno fatto dell’Italia una nazione di livello non solo europeo, ma anche internazionale. Si gettano con sfregio nel cestino, atti di eroismo e visioni politiche creatrici di cittadinanza vera, per ergersi al di là del detto dantesco “Ahi serva Italia di dolore ostello…”  Dare un calcio a 153 anni di storia per mettersi in tasca il “prezzo del biglietto” è veramente avvilente. Se in Italia abbiamo siffatti uomini dobbiamo essere ancor più preoccupati che di avere criminali e mafiosi: questi almeno si sa che esistono e che devono essere combattuti perché sono cattivi. I primi invece lasciano lo sconcerto perché non si sa dove mirino né la ragione che li spinge ad agire e tanto meno che cosa vogliano distruggere. Ciò che poi risulta preoccupante è che tal sorta di uomini è entrata nelle istituzioni e che come una malattia sta cercando di infettare tutte le altre cellule con cui viene a contatto pur di raggiungere il proprio intento distruttivo. Una cosa è certa fortunatamente, che ogni disegno sovversivo delle istituzioni in una realtà democratica tende ad implodere e a restare isolato. In democrazia ci si batte per rinnovare le istituzioni, non già per distruggerle e se non ci sono riusciti gli anni di piombo ritengo che anche questo Movimento è destinato ad implodere grazie alla serietà ed alla capacità di discernimento di tutti coloro che sentendosi orgogliosamente italiani, non hanno bisogno di sproloqui, di urla e di “Vaffaday” per far sentire le proprie ragioni.

CONFLITTI INTERNAZIONALI
Quasi tutti ritengo abbiano sentito la notizia che il rapporto annuale presentato dall’Istituto di Heidelberg per l’Indagine dei Conflitti Internazionali (Hiik), dice che l’anno 2013 passerà alla storia come l’anno con il maggior numero di conflitti mondiali. Da questo studio emerge che i conflitti rilevati nel mondo intero sono 414, aumentati cioè di 9 rispetto al 2012. Tanto per ricordarlo l’istituto Hiik ha un cosiddetto “Conflict Barometer”, nel quale sono classificati cinque livelli di intensità bellicosa: il primo è “War” (“guerra”) che statuisce il grado più elevato. Il rapporto evidenzia inoltre che dei conflitti registrati 20 sono classificati come “guerra” - due in più rispetto al 2012 – altri 25 come “guerra limitata”; mentre altri 45 sono ritenuti “altamente violenti”. Il rapporto evidenzia ancora che ai conflitti già esistenti in Afghanistan e in Iraq, si sono aggiunti nel corso del 2013 quelli in Siria, Mali e Repubblica Centrafricana. Per non parlare anche gli scontri tra le forze del nuovo governo egiziano e i Fratelli Musulmani la cui violenza è reputata alta. L’Africa tende a rimanere comunque un territorio di conflitto generalizzato se pensiamo che solo nell’Africa Subsahariana hanno avuto luogo 11 guerre, pari a più della la metà di quelle descritte dal rapporto.

IL CONTRATTO SOCIALE E I PATTI

Dopo questo cappello possiamo sottolineare che nel 2012 i ricercatori Wilkenfeld e Gurr, insieme a Joseph Hewitt, hanno pubblicato i risultati del loro studio nel rapporto «Peace and Conflict», redatto per il Centro per lo sviluppo internazionale e la gestione dei conflitti (Center for International Development and Conflict Management) dell’Università del Maryland mettendo in evidenza che i conflitti hanno di solito due scopi 1) prendere il controllo dello stato, 2) finalità separatiste. Come è stato messo in evidenza dal  rapporto dopo la fine della guerra fredda circa la metà dei conflitti interni tendenti ad ottenere il controllo dello stato si sono conclusi con negoziati e spartizione di poteri mentre nella maggior parte hanno vinto i regimi al potere. Un terzo delle guerre civili di separazione sono finiti in accordi che riconoscevano le autonomie regionali, un altro terzo furono sedate e l’ultimo terzo è rimasto ad un punto morto indefinito. Gli autori inoltre hanno rilevato che prosperità economica, libere elezioni, governi centrali stabili, comunicazioni migliori, un maggior numero di «istituzioni di pace» e un maggior impegno internazionale spingono a diminuire sostanzialmente i conflitti. Ma che cosa determina la coesione di uno stato? Perché non è possibile accettare che una popolazione facente parte di un territorio, anche se autonomo non possa decidere di distaccarsi dalla propria nazione? Credo che sia importante sottolinearlo: il rispetto degli accordi. Se così non fosse avremmo una infinità di staterelli, secessioni continue e divisioni incredibili dei territori. La storia però ci ha insegnato che anche quando le divisioni avvengono a causa di guerre di espansione o di invasione, l’annessione finisce con un trattato. Laddove non finisce con un trattato od un patto, tale divisione, benché attuata con la forza delle armi resta stabile fino a che non avviene una insurrezione per tornare alla precedente libertà. Ciò che rende stabile il territorio e la comunità che lo abita all’interno della comunità internazionale è il patto sociale o contratto sociale. L’uomo  infatti è, per natura, indotto a intrecciare rapporti con i propri simili, anche se poi gli egoismi e gli interessi individuali causano conflitti. Gli esseri umani devono quindi creare un quadro normativo, le cosiddette leggi, all’interno del quale poter vivere insieme stabilendo quindi tra loro un patto in cui si manifesta la rinuncia esplicita ad una parte dei poteri che ciascuno ha in quanto essere libero in natura. Perché? Per creare insieme un benessere diffuso tra tutti gli uomini che vi partecipano. Ecco come si arriva alla definizione di ciò che è lo Stato: "un insieme perfetto di persone libere che si sono volontariamente unite, su un determinato territorio, per fruire in pace dei loro diritti all’interno del bene comune".  Ed è proprio in virtù di questo fine che  il popolo trasferisce ad un organismo, di governo ed alle sue istituzioni, non solo l’esercizio, ma la sostanza stessa della sovranità. Questo organo deve governare i cittadini guidato dalla retta ragione, dare leggi fondate sulla ragione umana e avere come scopo il bene dei cittadini. Questo contratto è l’unico che possa mantenere l’equilibrio tra stato e cittadini evitando pratiche di disobbedienza. Uno dei padri del giusnaturalismo come Grozio consapevole dell’importanza della stabilità del potere politico sosteneva che i cittadini quando sono in disaccordo con il governo, possono al massimo attuare una resistenza passiva e che solo nel caso in cui l’istituzione detentrice del potere sovrano si manifesta espressamente come un nemico dell’intero popolo, e sottolineo intero, operando manifestamente  per rovinarlo, sia legittimo ribellarsi. Ecco perché il contratto non può rescindersi per una causa qualsiasi ed il diritto internazionale, visto da Grozio in un’epoca in cui la guerra faceva venire meno la validità del diritto gli imponeva di teorizzare una soluzione in merito al problema della validità dei princìpi che regolano i rapporti tra gli stati in caso di guerra. La sua posizione infatti era chiaramente fondata sulla validità di questo contratto per cui il diritto naturale in quanto universale non può mai venire meno in caso di guerra. Tale diritto permane dunque l’unica autorità affermata  a cui fare riferimento nei rapporti tra gli stati. Quindi per Grozio "Pacta sunt servanda": c’è dunque un obbligo universale ed imprescindibile di mantenere fede ai patti perché tale obbligo deriva dal diritto naturale unico sostanziale fondamento su cui si deve edificare la civile convivenza tra i popoli. Non è che Grozio dicesse che la guerra è contraria alla natura umana, anzi il contrario, essa appartiene per natura di cose alla natura umana. L’insegnamento che vogliamo trarne perciò è che pur se la guerra non si può abolire e necessario tuttavia regolamentarla e con essa anche i rapporti tra le nazioni perché il rispetto dei patti possiede un contenuto etico in termini di umanità a cui nessuno può sottrarsi.