etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


martedì 1 maggio 2012

Quale etica nelle elezioni in Francia?

              


“In realtà, se lo stato è una comunità ed è una comunità
di cittadini partecipi d’una costituzione, quando la costituzione
 diventa specificamente diversa e dissimile, par che di
 necessità anche lo stato non sia più lo stesso,
proprio come diciamo che è diverso un coro che talora è comico,
talora tragico, pur se spesso i componenti sono gli stessi, e
egualmente che è diversa ogni altra società e associazione,
se diversa è la forma dell’unione: così pure, nonostante
 l’eguaglianza dei suoni, parliamo di diversità di modi musicali,
se anche talora si tratti del modo dorico, talora di quello frigio.
Ora se le cose stanno in questi termini, è evidente che bisogna
soprattutto affermare che uno stato è lo stesso guardando alla
costituzione e si può chiamarlo con lo stesso nome o con
uno diverso, sia quando gli abitanti sono gli stessi,
sia quando dono del tutto diversi……….”


Aristotele: POLITICA, III (I), 3-4, 1276 b Laterza Ed. pag. 76

Le presidenziali francesi a mio avviso sono il fenomeno attualmente da monitorare. Perché? Innanzitutto va chiarito il quadro di riferimento in cui porre questa mia affermazione. Un quadro dai fondamenti etici. Etica qui intesa come conoscenza del bene e dell’azione atta a riprodurlo. Quindi il primo elemento è il concetto di bene, il secondo la politica come strumento con cui si raggiunge. Il bene è il bene comune. Molti non ci credono, però se vogliamo parlare di sviluppo, di evoluzione del concetto di umanità e di diritti umani finalizzati al riconoscimento della dignità di ciascun uomo e di tutti gli uomini, non possiamo non scindere tale concetto moltiplicativo esistenziale di bene, dal concetto addizionale e più economico di benessere.
Ma che c’entra il bene comune con il secondo turno francese? Certo il concetto non è immediatamente trasparente. Occorre una riflessione sulla perniciosità delle ideologie. In questo momento, infatti, mentre  tutti i candidati dovrebbero sentire l’urgenza di individuare una via elettorale che porti alla scelta di una presidenza sulla base di seri obiettivi a sostegno del bene comune, tali concorrenti, per contro, invece di capire il segno dei tempi, si schierano ideologicamente su posizioni che si rivelano sempre più partitiche e meno politiche. Ma chi sono questi concorrenti? Quale la loro autorevolezza in termini politici e quindi etici? Sentono le loro responsabilità sapendo che il risultato porterà comunque, a prescindere dal vincitore, nel bene o nel male, un cambiamento che inciderà sul futuro non solo della popolazione francese, ma di tutta l’Europa e finanche del mondo intero, in termini di possibili derive.
Una contesa elettorale è sempre una questione di potere, l’ambizione di poter gestire la parte più consistente dei fiumi di denaro che, dietro la facciata dei fini politici, verranno spartiti, a fini partitici, a fini personali, a scopo di attribuzione di poltrone. L’incognita di questo quadro è dunque l’affermarsi delle cosiddette “strutture di peccato” che nella  enciclica, Sollicitudo Rei Socialis, Giovanni Paolo II (link in pagina) ha ben descritte ai punti 36 e 37. Esse sono rappresentate dai due atteggiamenti tipici dell’egoismo umano: “la brama di profitto e la sete di potere ad ogni costo”.  Per risolverla, proporrei ai francesi di adottare un atteggiamento diverso che permetta loro di trasformare questa tornata da competizione Partitica in gara Politica. Di uscire dalle gabbie ideologiche. Di formare nuove coalizioni. Di vedere oltre il passato di destra e sinistra, unendosi e convergendo su ideali comuni. Su obiettivi concreti. Il metodo non è difficile, basta analizzare i programmi, gli indirizzi, le proposte e le aspettative dei  candidati e poi valutarle sotto il profilo umano. Stimandole sotto il profilo delle conseguenze e in termini di etica applicata, vale a dire di responsabilità personali per il disegno di scenari futuri che incideranno certamente, a causa dell’interdipendenza e della globalizzazione, su tutti gli abitanti del pianeta. Questa non è un’affermazione gratuita, bensì è la visione reale dell’attuale meccanismo che regola il mondo: l’emulazione, l’omologazione, la standardizzazione o tipizzazione di modelli e di comportamenti destinati a ridisegnare i profili della storia. Allora tra le tante considerazioni che si possono ascoltare e leggere sulla Rete, possiamo prendere quelle che affermano che tali elezioni potrebbero, non solo modificare la Francia, ma persino il paesaggio politico tedesco in vista delle elezioni politiche del 2013 perché se dovesse vincere Hollande, vorrebbe dire che la socialdemocrazia in Europa, e quindi anche in Germania, è ancora una forza viva con cui bisogna fare i conti. Oppure che il mondo dell’industria e della finanza continua a sperare in una vittoria di Sarkozy perché altrimenti non sarebbe garantita la tenuta dell’euro. Oppure riflettere sul pensiero di qualcuno che reputa Hollande promotore di superate politiche socialdemocratiche ormai rese obsolete dalla storia perché centrate su incremento della spesa pubblica, su maggiore ingerenza dello Stato nella sfera economica e  perfino su un aumento del debito. Non per niente infatti egli è favorevole agli eurobond che Angela Merkel ha bocciato e che potrebbero segnare il naufragio della coalizione con il partito liberale (FDP) sempre sensibile alle istanze del mondo economico e finanziario.  Per non rimarcare poi che l'eventuale vittoria di Hollande al secondo turno e' vista con scetticismo dai mercati perché  difensore di una politica meno incline al rigore finora dimostrato dall'asse Parigi-Berlino. Sulla scia di questa paura si e' generata una corrente che ha spinto gli investitori verso investimenti difensivi, in un mercato in cui circolano notizie tutt'altro che positive, come la caduta del Governo olandese, l'ufficializzazione della recessione della Gran Bretagna e il rincorrersi delle voci che lo Stato spagnolo, in recessione tecnica, sia costretto a indebitarsi maggiormente per salvare le proprie banche. Ma Hollande che cosa propone realmente? Riassumiamo quello che dice l’Espresso a pag. 79. In sostanza: una redistribuzione dei sacrifici,  una patrimoniale del 75% sui milionari e del 45% per i patrimoni al di sopra dei 150 mila euro; fine del regime delle stock option, ritorno al sistema di banca pura, invece dell’attuale banca universale; limitazione dell’operatività delle banche nei paradisi fiscali con utili tassati al 15%; aiuti pubblici per attrarre gli investimenti esteri in Francia; previsione di riequilibrio dei conti pubblici nel 2017; da notare inoltre una cosa in netta controtendenza con le politiche italiane: l’assunzione di 60 mila professori nella scuola pubblica e come se non bastasse, anche la rivalutazione dei salari degli insegnanti; 150 mila posti di lavoro destinati ai giovani delle “banlieues”; ritorno a 60 anni dell’età pensionabile con 41 anni di contributi……..tutte politiche impensabili in Germania e che probabilmente non avrebbero nemmeno l’appoggio dell’SPD ma che tuttavia fanno sì che gli oppositori della Merkel si aspettino molto da una vittoria di Hollande perché sono posizioni chiare, inequivocabilmente di sinistra, vale a dire aperte, progressiste, e soprattutto alternative rispetto a Sarkozy sulle tasse, sui temi sociali e sulle politiche europee. Ma che dice Sarkozy? Qual è il suo programma? Possiamo riassumerlo in  “Una Francia forte”, oppure nella “revisione degli accordi di Schengen per il controllo degli immigrati” oppure ancora “una politica economica continentale” da ricalibrare, per difendere la produzione europea dalla “concorrenza sleale” attuata, con delocalizzazioni, in altre aree del mondo e per sostenerla mediante commesse pubbliche che privilegino per legge le imprese dell’Unione. Si capisce bene come qualcuno ha giustamente evidenziato che il presidente uscente non abbia elementi convincenti per proporre prospettive di novità e pertanto, se vuole riuscire, deve necessariamente conquistarsi l’appoggio di Marine Le Pen che ha ottenuto un voto, nel contempo di consenso e di contestazione: il Fronte nazionale voleva dimostrare di essere il solo tenutario della protesta e della collera della Francia profonda. Le va dato il merito di aver saputo correre il rischio del populismo, della  xenofobia, del revanscismo sciovinista, del razzismo esasperato, elementi da sempre propri del Dna del Fronte nazionale eppure  nella sua prima vittoriosa campagna elettorale, Marine Le Pen ha saputo tenere sotto controllo queste derive. Il paradosso è che i suoi punti di forza sono stati, e resteranno, l’adeguamento dei salari, la revisione delle pensioni, il miglioramento del sistema sanitario, nonché le politiche assistenziali, ovviamente con una significativa differenziazione, non c’è bisogno di dirlo, a favore dei francesi rispetto agli immigrati. L’orientamento della sua politica va verso la difesa a oltranza di uno Stato sociale che, a suo giudizio, potrà resistere alla morsa dell' Europa delle banche e dei banchieri, solo nella misura in cui si ricompatti in una dimensione rigorosamente e orgogliosamente nazionale. C’è qualcosa che non quadra: Sarkozy ha bisogno dei voti del Front National  e parrebbe che l’alleanza non rappresenti più un tabù, perché Marine Le Pen sembrerebbe essere riuscita nel suo intento di modificare l’immagine del Front National che non stenterebbe a collegarsi con l’elettorato della destra che in Francia sta progressivamente radicalizzandosi. Se si fanno due conti appare chiaro che Sarkozy, per imporsi, deve tentare il tutto per tutto perché una cosa è certa: al primo turno la Le Pen ha ottenuto il 17,9% dei consensi e François Bayrou il 9,13, quindi se il 6 maggio vuole vincere, deve conquistare gli elettori della leader dell’estrema destra sostenuto anche dal fatto che le prime stime sugli orientamenti che gli elettori della Le Pen seguiranno al secondo turno indicano che il 60% ha già deciso di votare per Sarkozy, molti di più rispetto a due settimane fa, quando erano il 44%; il 18% per Hollande; mentre il 22% vuole astenersi. Che cosa leggiamo nella volubilità di questo elettorato capace di cambiare idea in maniera repentina sulla base di precise attese di uscita della Francia dall’Ue e con il ritorno al protezionismo? Dov’è l’etica? Le Pen e Hollande potrebbero immaginare un nuovo comune orizzonte?