etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


venerdì 15 aprile 2016

IL TERRORISMO E LE COLPE E L’ETICA DEI MURI


MURO DI CINTA
di Adelchi Baratono (1875-1947)

Sì, basso, ma orlato di punte,
di scheggie, di vetri. I monelli
che vengono a dar la scalata,
si tirano su susu, e, giunte
le mani a toccar la crestata,
ricadon lasciando i brandelli.

Quel muro recinge una valle
angusta, una conca d'ombrati
riposi; gli alberi, tanti!
lì dentro. Di fuori va il calle
bruciato di sole. Davanti
un'erta aridità di prati.

Ieri passò una bambina;
che bella! pe 'l caldo il sudore
madeva l'ovale del viso.
Guardò quell'ombrìa dalla china
segnando con gli occhi un sorriso,
ma poi sentì piangere il cuore!

(Le chiesi:
- Quant'anni hai, bambina? -
Rispose: - Mammina
ha detto, nove anni e tre mesi. -)

Null'altro? E no. Sono come
un piangere, questi paesi.
C'è il sole che affoca... e quei muri...
Domani ci torno. So un nome
che brucia. Lo incido, che duri
sul muro nove anni e tre mesi.


Si sta costruendo un muro al Brennero perché si ha paura, perché gli  atti di terrorismo che hanno insanguinato Bruxelles  sono un attentato al la nostra vita quotidiana, che per quanto vogliamo che rimanga la stessa, in realtà ci accorgiamo non solo che è cambiata, ma che  il cambiamento sta assumendo profili di incomprensibile natura.
Non solo c’è la voglia di non accogliere l’altro, ma di respingere chiunque non sia “al di qua” del muro, a prescindere che siano donne, anziani o bambini.
Nella riflessione che mi accingo a fare vorrei mettere in evidenza alcuni caratteri di umanità e disumanità che compongono la nostra visione di democrazia, di sicurezza e di libertà.
Vorrei approfondire i significati che ciascuno di noi si sente di dare agli avvenimenti, sia in termini di colpa, che di risentimento e rischio di far svanire tutto il cammino di appropriazione umana della realtà, iniziato con la cosiddetta “Era dei lumi”. Vorrei infine far capire che l’etica quale conoscenza del bene non si salvaguarda e tantomeno si pratica costruendo muri.

NORMALITA’ SOCIALE
Volenti o nolenti dobbiamo prendere atto che il nostro sforzo di vivere una normalità sociale fatta di libertà e di relazioni soggettivamente scelte ed umanamente intrattenute sta divenendo una  prerogativa del passato.
Il clima di incertezza e ditensione che avvertiamo ogni qualvolta stiamo per prendere una metropolitana, stiamo per andare al cinema o a teatro oppure partecipare ad una manifestazione è veramente indescrivibile.
La realtà che ci permetteva di agire liberamente in quanto uomini coscienti di appartenere ad un mondo costruito con razionalità e basato su carte costituzionali e dichiarazioni dei diritti umani, appartiene al passato.
La sicurezza di poter trovare momenti di piena libertà, fuori dall’angoscia del lavoro e dalla paura della solitudine incontrando altre persone con cui condividere momenti di svago e di spensieratezza è minata alla base, dall’incertezza di poter subire, nonostante controlli e misure di sicurezza, un improvviso ed imprevisto attentato.

STRATEGIA DELLA PAURA
In tale contesto dobbiamo amaramente notare che in alcuni luoghi, in alcune strade, non troviamo più neanche i cestini per gettare la carta di una caramella: sono stati tolti per paura che potessero essere contenitori di bombe o esplosivi.  Così quando vediamo una qualsiasi borsa, sacchetto o zaino incustoditi: il primo pensiero è della possibilità che sia una bomba in attesa di esplodere;  che sia il mezzo per compiere un attentato di cui noi stando lì vicino potremmo esserne le ignare vittime.
Ecco che la paura e poi il panico si impossessa i qualcuno di noi fino a fargli rinunciare ad uscire di casa, a prendere la metropolitana, a recarsi in aeroporto, ad andare ad un concerto.

RESTRIZIONI, BARRIERE E ODIO RAZZIALE
La nostra libertà globalizzata fondata, almeno per noi dell’Unione Europea, sulla moneta unica e sul trattato di Schengen, sta sempre più restringendosi per cause dovute ad una errata concezione dei concetti di democrazia, di socialità e di accoglienza che informano le relazioni umane, specialmente quelle relative al mondo dell’immigrazione, dell’asilo politico e della libertà religiosa.
Sappiamo bene che le tre barriere che dividono gli uomini, come muri,  sono da sempre la lingua, la moneta e la religione, ma ora questi elementi sono ancor più accentuati dall’odio, non solo razziale e religioso, ma anche e soprattutto dalla paura di possibili azioni terroristiche che ne derivano.
Ma possiamo continuare così? possiamo continuare a subire questo stillicidio di paure che ci costringono a rinunciare, anche se inconsciamente non lo avvertiamo, alle nostre sicurezze?
Come non chiederci il perché di tale situazione? Come non domandarci di chi è la colpa di questi  avvenimenti fuori da ogni contesto di umanità?

I NOSTRI RAPPORTI E COMPORTAMENTI
Senza voler fare né vittimismi e né false ipocrisie, io ritengo che ciascuno di noi sia chiamato ad interrogarsi, non nel contesto dei grandi sistemi e delle situazioni istituzionali, bensì sul proprio vissuto quotidiano, sulla qualità delle relazioni intessute con i vicini, sulla finalità dei rapporti con gli altri, sulla bontà dei comportamenti attuati in ogni circostanza e sui muri che ogni giorno costruiamo per proteggerci dall’altro, dal diverso, dall’immigrato, dallo zingaro, dal rifugiato e da chiunque sia diverso da noi.
So che è difficile perché per spirito egoistico noi siamo abituati a guardare esclusivamente a ciò che fanno gli altri, alle loro azioni, ai loro comportamenti cercando di giudicarli con un metro direttamente proporzionale alla conoscenza che ne abbiamo ed alla loro vicinanza. Vale a dire che più siamo vicini e conosciamo certe persone, più il nostro giudizio diviene rigido ed inflessibile.
Una volta tanto sarebbe bene che questo giudizio lo ribaltassimo su di noi con la nostra  capacità di attagliarlo inflessibilmente alle diverse situazioni.

IL GIUDIZIO
Un giudizio che abbia quei caratteri di soggettività che ci caratterizzano nell’osservazione dell’altro, dei suoi caratteri peculiari, delle sue manifestazioni non solo comportamentali, ma anche a volta solamente estetiche. Se per un momento fossimo capaci di usare lo stesso metro anche con noi stessi, ci accorgeremmo senz’altro che c’è qualcosa che non va nel nostro atteggiamento. Ci accorgeremmo che il giudizio verso gli altri è perentorio e non ammette repliche, mentre quello verso noi stessi implica sempre una spiegazione, una giustificazione, un perché molto chiaro che spazza via ogni dubbio.
Ecco come si spiegano le chiusure delle relazioni, l’interruzione dei rapporti, la crescita delle incomprensioni, e lo sviluppo di semi di rancore da cui giorno dopo giorno si genera quello che pur se non pienamente avvertito presenta i caratteri dell’odio.
Ma questo odio che cresce non appaga gli animi, ne determina invece una continua insofferenza non solo verso gli altri, ma anche verso se stessi per non sapere trovare la soluzione giusta per far esplodere la bomba che si cova nel proprio animo.

COME EVITARE L’ESCALATION
Ma come si può fare per evitare questa escalation? Come trovare in noi una maniera per gestire i nostri sentimenti e quindi i risentimenti che poi arrivano a generare quelle istigazioni  ai cattivi comportamenti a cui ciascuno di noi si sente sollecitato per spirito di rivalsa o di pretesa giustizia.
Vi è un dato di fatto ineludibile che coinvolge ciascuno di noi ed è che l’uomo in ogni epoca ed in ogni luogo è stato ed costretto sempre a vivere in relazione con glialtri, anzi per maggior precisione potremmo dire in un sistema relativamente stabile di relazioni con il gruppo umano a cui appartiene. Ed è proprio in questo gruppo che impara a rapportarsi con gli altri, impara le emozioni e la razionalità, l’uso dei concetti rispondenti a democrazia e a morale, nonché a quelli di cui parlavamo di amore e odio.  Con ciò possiamo giungere quindi alla conclusione che molta parte delle caratteristiche inerenti alle nostre azioni ci provengono dall’educazione ricevuta nel gruppo e dall’esperienza fatta nel gruppo.

LE  DIVERSE NATURE DEI GRUPPI
Ma mentre prima potevamo configurare questo gruppo in modo preciso, come la famiglia, la comunità locale, la comunità religiosa, il gruppo etnico, l’ordine professionale, il partito politico ed ogni associazione di qualsiasi tipo, quali costellazioni di relazioni possibili e stabili che materialmente e psicologicamente permettevano lo sviluppo equilibrato della persona umana e del singolo, oggi pare non sia più così.
Oggi vediamo sempre più che il gruppo o la comunità, ancorché suddivisi in quelle caratteristiche appena descritte, hanno perso il loro carattere di relazione personale e sono diventati sempre più di natura immateriale, concettuale, potenziale, eventuale ed ipotetica, come viene espresso dalla realtà virtuale.
Alla famiglia tradizionale basata su legami di sangue, si oppone quindi una famiglia ipotetica basata su percezioni e legami soggettivamente intesi; così la comunità locale, basata su tradizioni e legami di gruppi familiari legati da vincoli di “comparaggio”, oggi è sostituita dalle amicizie condominiali, dagli interessi legittimi comunemente difesi, all’interno di mere strategie economiche; la comunità religiosa assume oggi caratteri sempre più sofisticati che non si riferiscono soltanto al trascendente, ma più semplicemente, alle realtà degli animalisti, dei vegetariani, dei vegani, degli ambientalisti, degli scambisti, che fanno delle loro convinzioni un credo assoluto, ecc.; così il gruppo etnico, mentre una volta era individuato nelle differenze evidenti di lingua di storia e di religione oltre che di costume e tradizioni, oggi questi gruppi etnici sono rappresentati senz’altro da immigrati, ma anche da quelli di seconda e terza generazione, che nati sul territorio, vivono la vita di quel territorio e magari non hanno mai visitato i luoghi di origine dei propri genitori o dei propri nonni o bisnonni; ma non solo, il gruppo etnico oggi si può anche suddividere in diversi modi, quali gruppi di genere, oppure gruppi virtuali, meglio conosciuti sotto il nome di “social network”; altrettanto dicasi per gli ordini professionali, che tranne per alcuni strenuamente difesi da improbabili lobby, si ritrovano sempre meno caratterizzati dalla professione che cambia, dalle prassi che evolvono e che determinano una confusione fortemente lesiva dei diritti dei singoli. Esattamente ciò che è avvenuto per il mondo del lavoro e delle professioni, basti pensare al cosiddetto “Smart working”. In tale disamina, poi dobbiamo riscontrare che il partito politico rappresenta la cartina tornasole del cambiamento: non rappresenta più nessuno, anzi ad analizzarne alcuni aspetti peculiari,  si può dire che rappresenti in maniera pragmatica un tutti contro tutti, legato esclusivamente ad interessi faziosi economici e di parte, e, non più all’obiettivo di bene comune di mazziniana memoria.

LA COSCIENZA DEL RISPETTO DELLE REGOLE
Sono saltate tutte le regole che governano la comunità e che si ritrovano nel senso di appartenenza politica ad uno stato. Non ci sono più regole che mirino ad una organizzazione globale della convivenza, fra singoli gruppi dagli interessi contrastanti;non esiste più l’intento di creare una organizzazione della convivenza che sia la migliore possibile nelle attuali condizioni storiche.  Il problema è politico e inevitabilmente un problema etico che nasce e si sviluppa nel modo in cui il singolo deve rapportarsi agli altri singolie all’intera comunità globale in cui è inserito.
Ma non cambiano soltanto i gruppi, cambiano anche i singoli  e la loro coscienza del rispetto delle regole, attraverso le diverse identità che essi possono assumere nella Rete, attraverso gli avatar, le identità virtuali, i furti di identità, le identità veicolate non più da una esistenza reale, ma da un esistenza virtuale, come quelle dei cartoni animati.

LA CONVIVENZA CONFLITTUALE
Il modello attualmente riscontrabile è quello della convivenza conflittuale che si configura in una organizzazione statale esclusivamente rivolta a garantire in termini lockiani, il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà, per cui l’aiuto a chi è in difficoltà non è assolutamente obbligatorio ed è lasciato alla liberalità del singolo e quindi volontaria e non vincolata da obblighi di solidarietà.
In un tale modello non esiste altro fine che il tornaconto personale, sia che si tratti di beni, sia che si tratti di terra sia che si tratti di persone. Non esistono diritti umani, nonostante le leggi, non esistono legami organizzativi se non finalizzati ad un do ut des. Anche le tasse infatti vengono considerate come un corrispettivo dei servizi forniti dall’organizzazione pubblica dello Stato.
Ecco perché le tasse sono avversate dalla maggior parte dei cittadini in quanto, anche se necessarie,sono considerate comunque una violazione del diritto di proprietà in quanto dettate da una imposizione che non lascia al singolo quella libertàdi scegliersi e pagarsi direttamente i servizi che reputa necessari, a prescindere che il suo contributo possa essere di sostegno ad altri che non sono in grado di pagarseli.
Approfondendo, capiamo che anche per  il rispetto delle leggi vige lo stesso principio, nel senso che l’obbedienza alle stesse non è richiesta dalla necessità di conseguire il bene comune, ma solo dalla necessità di salvaguardare quel minimo di pace sociale che consenta di tutelare i propri diritti soggettivi ed i propri interessi legittimi nel migliore dei modi.

OBBEDIRE ALLA LEGGE SE CONVIENE
Ecco perché non esiste un vero dovere morale di obbedire alla legge, ma una semplice convenienza individuale la cui inesistenza giustifica la disobbedienza alla stessa.
Tutto ciò è comprensibilissimo se ci si rivolge alla logica dell’evasione fiscale ed alla violazione sistematica del codice della strada, o del codice del consumo, dove l’interesse personale che si salvaguarda è sostenuto anche dal bassissimo rischio che si corre di essere puniti. Le pagine dei giornali ce lo raccontano tutti i giorni!
Tale atteggiamento deriva dalla convinzione di ciascuno che il bene comune consiste prioritariamente nella tutela dei propri interessi e in generale del proprio bene privato.  Anche se rattrista constatarlo, questa è purtroppo la mentalità che supporta il modello culturale, importato dagli Usa ed ora fatto proprio dai nostri Paesi europei ed in particolar modo da una gran parte degli italiani. Ecco perché si parla di convivenza conflittuale in quanto lo Stato è chiamato a svolgere la funzione di mitigare gli interessi dei singoli, spesso in conflitto tra di loro, e pertanto con l’applicazione della legge, cercare di mitigare l’asprezza dei conflitti che sorgono fra interessi discordanti, per salvaguardare gli interessi dei più deboli, in quanto come ben sappiamo in regime di convivenza conflittuale vige sempre il dominio del più forte.

IMMIGRATI: NON-PERSONE
Questa struttura mentale che rifiuta quindi di riconoscere l’esistenza dell’altro in quanto tale e benché suo concittadino, diviene ancora più categoricamente esclusiva quando si tratta di persone o meglio di individui “non-persone” come gli immigrati. Gente che non ha diritti di cittadinanza e quindi esclusa per definizione dalla vita del nostro Paese.  Allora pur se appare evidente il servizio che essi compiono sul nostro territorio, il contributo che danno al nostro PIL, in realtà vengono sempre additati come coloro che rubano il lavoro, coloro che fanno concorrenza sleale, coloro che devono essere rimpatriati ecc., quando non sono considerati potenziali terroristi.  Contro la piaga dell’immigrazione allora, invece di pianificare soluzioni costruttive, come potrebbero esserlo un servizio civile, una suddivisione di gruppi sui diversi territori, un impiego massiccio di forza lavoro necessaria in tutti quei settori che ormai i cittadini italiani ed europei si rifiutano di coprire, si fa una distinzione tra immigrato economico, richiedente asilo oppure rifugiato, senza rendersi conto che coloro che arrivano da noi, in questa Europa patria dei diritti umani, sono tutti nelle stesse condizioni: la sopravvivenza.
Quanti di loro vengono abbandonati nei CIE, invece di essere identificati ed accolti. Quanti di loro potrebbero essere avviati al lavoro sulla base delle professionalità che esprimono e che non vengono considerate.Quanti di loro invece della speranza si trovano la vita sbarrata da un muro? Quanti di loro potrebbero inserirsi nei territori provinciali scarsamente popolati? Tanto per argomentare una riflessione alla portata di tutti, se facessimo un semplice calcolo indicando in 150.000 il flusso di immigrati annuo nel nostro Paese e prendendo in considerazione gli 8.092 Comuni rilevati nel censimento del 2011, con una semplice divisione si dimostra un aumento di popolazione pari a 18,54 persone per ciascun municipio. Non credo che tale accoglienza sia insostenibile.
Non lasciamo pertanto che questa gente considerata da più di qualcuno “ relitti umani”, continui a morire in cerca di un luogo dove sopravvivere, che si chiami Lampedusa o Lesbo,  che sia Italia o Grecia o qualsiasi altro Paese non chiudiamo le porte alla loro speranza! Anche papa Francesco dopo Lampedusa, diverrà pellegrino a Lesbo in cerca di spazi di umanità che solo i più poveri del sud di questa Europa di nuovi muri sembrano possedere. L’etica non si costruisce con i muri della paura, ma con i ponti della fiducia e gli abbracci di solidarietà. Purtroppo si è dimenticato che l’etica è un’attitudine degli esseri umani che si riconoscono tra loro come tali.

SACCHE DI ODIO E DERIVE TERRORISTICHE
Il clima di conflittualità fortemente accentuato e molte volte esasperato, non tiene conto delle necessità degli esseri umani, ma solo del colore della loro pelle oppure della diversità della loro lingua o peggio ancora della volontà di mantenere le loro tradizioni, ecco che si generano sacche di odio e derive di terrorismo. Si grida, e a ragione, contro gli assassini di gente inerme, ma non si tiene conto di due cose: la prima è che guerre ed atti terroristici hanno sempre necessità di impiegare delle armi o degli esplosivi che vengono sistematicamente forniti dai Paesi produttori di armi, tra i quali c’è anche l’Italia; la seconda è che gli atti terroristici perpetrati in Europa sono stati attuati da europei, anche se appellati “immigrati di seconda o terza generazione”!
Allora interroghiamoci, sul perché i terroristi che hanno colpito in Europa non provenivano  dal medio oriente, ma erano nativi?  invece di fare “ammuina” interroghiamoci su come deve essere risolto il problema, che se da un lato possiamo cinicamente rilevare, crea orrore e morte, dall’altra crea “occasioni di lavoro o scoop giornalistici” che permettono a giornalisti, inviati, esperti di terrorismo, consulenti strategici, avventori di talk show televisivi, di ottenere i loro revenues oppure a politicanti in cerca di consensi elettorali ottenere audience e affermazione!

Nessuno pensa che certe cose è meglio non dirle, che è meglio non accentuarle, che è meglio non strillarle onde evitare da un lato il panico e dall’altro la possibile emulazione di altri gruppi eversivi? Le notizie vanno date, ma esiste anche una precisa responsabilità sul metodo di comunicazione adottato. E’ meglio non strillare le notizie, o ricamare sulle incapacità dell’intelligence, o indicare luoghi che potrebbero essere assaltati o che potrebbero essere oggetto di attentati ancora più disastrosi come i siti contenenti materiale radioattivo.
Allora impariamo a controllare i nostri impulsi, a non influenzare in maniera negativa con la nostra comunicazione chi ci guarda, ci legge  o ci ascolta; impariamo a capire che probabilmente certe realtà considerate solo notizie da “sbattere in prima pagina” possono essere anche “pilotate” da servizi deviati al sostegno di lobby dagli obiettivi più svariati. Se capiamo tutto ciò capiremo inoltre che non possiamo continuare a piangere e a dare la colpa solo a questi terroristi! Dobbiamo interrogarci su chi dirige, nascostamente,le strutture di destabilizzazione, indicando gli obiettivi e fornendo armi e logistica per gli attentati. Anche i mass media dovrebbero interrogarsi sulle diverse “stupidaggini” che ignavi giornalisti e opinion leader strombazzano ai quattro venti senza rendersi conto di fare il gioco dei terroristi.
Mi domando infatti come sia possibile che nessuno di loro,nello strillare notizie e fatti, come se fossero un trofeo di vittoria si sia chiesto o aveva capito che le parole di Salah Abdeslam: “finalmente non vedevo l’ora di essere arrestato, sono felice di non essermi fatto saltare in aria”non era che una parola d’ordine: un detonatore verbale che invece di essere oscurato è stato non solo male interpretato, ma anche visto quasi “in senso buono”!!!!!
Se continuiamo ad avere questo tipo di dirigenza imbecille non potremmo che prospettarci un futuro di terrore sempre più…..assurdo ed inimmaginabile.

E…noi continuiamo a piangere…nell’attesa che prima o poi …….

martedì 22 dicembre 2015

LA MISERICORDIA IN DON LUIGI STURZO

LA MISERICORDIA IN DON LUIGI STURZO  

Innanzitutto vorrei ringraziare il Dr. Carlo Cittadino per avermi invitato a svolgere questa relazione e tutti i presenti che grazie all’interesse che dimostrano per questo argomento mi lasciano ben sperare riguardo ai frutti concreti che il Giubileo della Misericordia che si è appena aperto, porterà ai cuori della nostra gente.
Per iniziare vorrei subito dirvi che mentre preparavo questa relazione, mi rallegravo con me stesso di non essere uno studioso di Don Luigi Sturzo, né tanto meno un profondo conoscitore del suo pensiero, come lo sono gli altri eminenti relatori.
Infatti anche se può sembrare un paradosso, devo dire che mi sono rallegrato per il fatto che ho approcciato l’argomento esclusivamente come appassionato di un pensiero profetico nel suo tempo ed estremamente attuale per il nostro, ma che è talmente affascinante complesso e coinvolgente che se avessi dovuto presentarlo da studioso credo che non mi sarebbe bastato il poco tempo disponibile dedicato alla riflessione, né tanto meno il tempo di presentazione consentito in questa sede!   
Naturalmente in questo breve incontro parlerò dei punti più salienti trattati in questa relazione che lascio alla lettura attenta e critica di ciascuno.
INTRODUZIONE
Per ubicare i concetti in maniera chiara e comprensibile per ciascuno di noi, dirò subito che il percorso che cercherò di proporre, nella chiarificazione del nozione di misericordia in Don Sturzo che a mio avviso necessita di un salto di paradigma non semplice, si configura nel presente schema: una piccola  analisi introduttiva della mia visione sull’argomento, una richiesta di condividere alcune raffigurazioni importanti in cui si colloca il concetto di misericordia ed infine sull’interpretazione che di tale aspetto umano mi è sembrata più corrispondente alla reale prospettiva non solo pensata e disegnata da Don Sturzo, ma anche e soprattutto concretamente vissuta.
La metodologia che seguirò sarà quella a me tanto cara dello schema di Lonergan per la fondazione del sapere il cui percorso necessita di tre conversioni quali quella intellettuale rappresentata dai fatti e dalle esperienze, quella morale  della responsabilità e della ragionevolezza ed infine quella religiosa, come  visione della autoconsapevolezza storica e del dono dell’amore di dio consistente nell’amore dell’uomo verso tutte le cose e di conseguenza parlare della misericordia non solo come fine infra-valente, ma anche e soprattutto come il riconoscimento concreto del volto umano di Dio nella realtà dell’uomo.
ESAME DELLA NOZIONE DI MISERICORDIA
Purtroppo, come accade spesso nel nostro contesto quotidiano, usiamo le parole semplicemente come elemento di trasmissione del nostro pensiero sempre più in maniera superficiale. Ecco perché ritengo importante parlare in termini più specifici di come si costruisce il concetto di misericordia. Certo se usiamo il vocabolario dei sinonimi possiamo vedere che esso può essere sostituito e comparato ad altri concetti aventi significato di  compassione, comprensione, pietà, perdono, benignità, generosità, carità, umanità, riguardo, clemenza, ma io vorrei invece definire in maniera univoca e quindi scevra da sinonimi il concetto di misericordia che mentre tutti li contiene dall’altra non può essere barattato se non perdendo la pienezza del suo significato.
Per farlo in maniera coerente con il Magistero della Chiesa prenderò spunto dalla costituzione Pastorale Gaudium et Spese dall’enciclica di San Giovanni Paolo II “Dives Misericordia” del 1980
CONFIGURAZIONE DEL CONCETTO DI MISERICORDIA
La misericordia, alla stessa stregua della solidarietà è una virtù che l’uomo può esercitare soltanto attraverso la ricerca incessante del senso della propria umanità. In tale senso trova luogo la dimensione della propria dignità morale, quella che la Gaudium et Spes richiama con le parole “Infatti, nella sua interiorità, egli [l’essere umano] trascende l'universo delle cose: in quelle profondità egli torna, quando fa ritorno a se stesso, là dove lo aspetta quel Dio che scruta i cuori (15) là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino. Perciò, riconoscendo di avere un'anima spirituale e immortale, non si lascia illudere da una creazione immaginaria che si spiegherebbe solamente mediante le condizioni fisiche e sociali, ma invece va a toccare in profondo la verità stessa delle cose.”
Il concetto di dignità allora presiede la natura della coscienza morale come la Costituzione Pastorale ci ricorda: “Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato (17). La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità (18).” dando una precisa indicazione all’azione che l’uomo deve intraprendere per riconoscersi come tale. Questo percorso è dato da tre momenti distinti tra loro eppure intimamente integrati che possono essere rappresentati come tre cerchi concentrici in cui l’uno include e determina l'altro. Questi tre cerchi sono la giustizia, la carità e la misericordia. Così mentre la giustizia si integra e viene compresa nella carità, la carità definisce e completa la giustizia e a sua volta la carità viene definita e completata dalla misericordia.
Esattamente come la natura dell’atto umano distinguendosi su tre livelli: l’esperienziale, l’intellettuale  e quello del giudizio, fa si che l’atto esperienziale viene completato dalla comprensione e pertanto la comprensione presuppone,  include e completa l’esperienza, mentre il giudizio presuppone include e supera la comprensione.
Il percorso verso la misericordia dunque parte dall’azione pratica della giustizia per trasformarsi in un’azione di carità che determina l’ambito finale della misericordia.
Quest’ultima pertanto va caratterizzata come trasposizione dell’azione dell’amore divino nell’essere umano e non una semplice azione di compassione, di perdono o di semplice comprensione verso chi ha sbagliato.
Il percorso è difficile, è doloroso ed è edificante della natura dell’essere umano nella misura in cui egli scopre la dimensione della propria dignità che ha come obiettivo primario l’esercizio della virtù teologale più edificante che è la carità.
GIUSTIZIA, CARITA’ MISERICORDIA
Appare chiaro dunque come non vi possa essere spazio di misericordia laddove non ci sia una carità che completa la giustizia. Molti si trovano a parlare di misericordia senza comprendere che il senso della misericordia è il quadro composito delle altre due verità intime dell’uomo quale la giustizia e la carità. Se non si percepisce il senso della giustizia cioè di quell’equilibrio interiore che trova fondamento nei caratteri della giustizia sociale tripartita in giustizia legale, giustizia redistributiva e giustizia commutativa, non può configurarsi il tessuto di umanità che si fonda sull’uguaglianza, sulla fraternità e sulla libertà che seppur promossi in termini politici dalla rivoluzione del 1789, in realtà sono il fondamento primo della verità sull’uomo che la Chiesa ha sempre sostenuto.
GLI ASPETTI DELLA GIUSTIZIA
Il termine giustizia però non va interpretato soltanto come la semplice applicazione delle norme e del loro rispetto perché la giustizia costa sacrificio soprattutto se la si interpreta sotto il profilo del comandamento principe o regola doro della relazione umana “ama il prossimo tuo come te stesso”: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.”! La giustizia va interpretata anche come carità, come amore che non spiega le rinunce alla rivalsa, ma le vince in una piena accettazione dell’identità dell’altro, in una attitudine al sacrificio del proprio orgoglio modulato sulla certezza del proprio autocompiacimento e sulla intransigenza delle proprie vedute.  Questa  identificazione della giustizia spiana la strada verso il senso profondo e sconosciuto della misericordia perché “In tal modo, la misericordia viene, in certo senso, contrapposta alla giustizia divina e si rivela, in molti casi, non solo più potente di essa, ma anche più profonda. Già l'Antico Testamento insegna che, sebbene la giustizia sia autentica virtù nell'uomo, e in Dio significhi la perfezione trascendente, tuttavia l'amore è «più grande» di essa: è più grande nel senso che è primario e fondamentale. L'amore, per cosi dire, condiziona la giustizia e, in definitiva, la giustizia serve la carità. Il primato e la superiorità dell'amore nei riguardi della giustizia (ciò è caratteristico di tutta la rivelazione) si manifestano proprio attraverso la misericordia”  
PROGRESSIONE TRASCENDENTE VERSO LA MISERICORDIA
Questo lo possiamo comprendere solo se entriamo nella progressione fondamentale della trascendenza che partendo dall’umano, va verso l’atteggiamento cristiano per raggiungere quel livello di santità che la Chiesa non si stanca di professare attraverso l’insegnamento evangelico della parabola del “Figliol prodigo” in cui “Il rapporto della giustizia con l 'amore che si manifesta come misericordia viene con grande precisione inscritto nel contenuto della parabola evangelica. Diviene più palese che l'amore si trasforma in misericordia quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta. Il figliol prodigo, consumate le sostanze ricevute dal padre, merita --dopo il ritorno-- di guadagnarsi da vivere lavorando nella casa paterna come mercenario, ed eventualmente, a poco a poco, di conseguire una certa provvista di beni materiali, forse però mai più nella quantità in cui li aveva sperperati. Tale sarebbe l'esigenza dell'ordine di giustizia, tanto più che quel figlio non soltanto aveva dissipato la parte del patrimonio spettantegli, ma inoltre aveva toccato sul vivo ed offeso il padre con la sua condotta. Questa, infatti, che a suo giudizio l'aveva privato della dignità filiale, non doveva essere indifferente al padre. Doveva farlo soffrire. Doveva anche, in qualche modo, coinvolgerlo. Eppure si trattava, in fìn dei conti, del proprio figlio, e tale rapporto non poteva essere né alienato né distrutto da nessun comportamento. Il figliol prodigo ne è consapevole, ed è appunto tale consapevolezza a mostrargli chiaramente la dignità perduta ed a fargli valutare rettamente il posto che ancora poteva spettargli nella casa del padre. In definitiva il figlio secondo giustizia aveva quanto si meritava, ma in termini di carità e quindi di amore del Padre riceve un’accoglienza gratificante sotto il profilo umano che poi diviene elemento edificante della relazione umana quando tramutandosi in misericordia vede gratuitamente e gioiosamente ripristinati i diritti filiali, senza che vi sia una spiegazione, senza alcuna risposta ai perché inquieti del figlio maggiore. 
Tale atteggiamento che supera i limiti della natura umana si ritrova anche nelle “parole del discorso della montagna: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia», [….]. Queste parole del discorso della montagna, facendo vedere nel punto di partenza le possibilità del «cuore umano» («essere misericordiosi»), non rivelano forse secondo la medesima prospettiva il profondo mistero di Dio: quella inscrutabile unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in cui l'amore, contenendo la giustizia, dà l'avvio alla misericordia, che a sua volta rivela la perfezione della giustizia?”
COME PORCI DI FRONTE A UN MECCANISMO DIFETTOSO
Ma allora in termini concreti come dobbiamo porci di fronte al fatto che esistano, non solo nel nostro Paese e nella nostra Unione Europea, ma anche “in varie parti del mondo, in vari sistemi socioeconomici, intere aree di miseria, di deficienza e di sottosviluppo. Tale fatto è universalmente noto. Lo stato di diseguaglianza tra uomini e popoli non soltanto perdura, ma aumenta. Avviene tuttora che accanto a coloro che sono agiati e vivono nell'abbondanza, esistono quelli che vivono nell'indigenza, soffrono la miseria e spesso addirittura muoiono di fame; e il loro numero raggiunge decine e centinaia di milioni. È per questo che l'inquietudine morale è destinata a divenire ancor più profonda. Evidentemente, un fondamentale difetto o piuttosto un complesso di difetti, anzi un meccanismo difettoso sta alla base dell'economia contemporanea e della civiltà materialistica, la quale non consente alla famiglia umana di staccarsi, direi, da situazioni cosi radicalmente ingiuste.”

I PROGRAMMI DI GIUSTIZIA
Purtroppo la voce giustizia a volte sembra aver completamente dimenticato il suo concetto primordiale per dare luogo ad interpretazioni completamente ribaltate nella realtà pratica e mentre da un lato si predica bene dall’altro purtroppo si razzola male infatti “sarebbe difficile non avvedersi che molto spesso i programmi che prendono avvio dall'idea di giustizia e che debbono servire alla sua attuazione nella convivenza degli uomini, dei gruppi e delle società umane, in pratica subiscono deformazioni. Benché essi continuino a richiamarsi alla medesima idea di giustizia, tuttavia l'esperienza dimostra che sulla giustizia hanno preso il sopravvento altre forze negative, quali il rancore, l'odio e perfino la crudeltà. In tal caso, la brama di annientare il nemico, di limitare la sua libertà, o addirittura di imporgli una dipendenza totale, diventa il motivo fondamentale dell'azione; e ciò contrasta con l'essenza della giustizia che, per sua natura, tende a stabilire l'eguaglianza e l'equiparazione tra le parti in conflitto. Questa specie di abuso dell'idea di giustizia e la pratica alterazione di essa attestano quanto l'azione umana possa allontanarsi dalla giustizia stessa, pur se venga intrapresa nel suo nome.
PRESUNZIONE DI GIUSTIZIA
Non a caso possiamo constatare come nel nostro vissuto quotidiano siamo portati e a volte incitati a considerare il concetto di giustizia nei termini sopra esposti e riportati dall’Enciclica la quale continuando il discorso sottolinea che “È ovvio infatti che in nome di una presunta giustizia (ad esempio storica o di classe) talvolta si annienta il prossimo, lo si uccide, si priva della libertà, si spoglia degli elementari diritti umani. L'esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all'annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l'amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni.
COME SI CONFIGURA LA MISERICORDIA
Ecco perché vorrei evidenziare ciò che rende peculiare il cammino, specificando attraverso le parole del Magistero come si configura  la Misericordia alla fine del percorso indicato, che dalla giustizia arriva alla carità per trasformarsi appunto in Misericordia:  “Non si tratta qui della perfezione dell'inscrutabile essenza di Dio nel mistero della divinità stessa, ma della perfezione e dell'attributo per cui l'uomo, nell'intima verità della sua esistenza, s'incontra particolarmente da vicino e particolarmente spesso con il Dio vivo. Ecco dunque come prende forma il carattere auto-fondante della via che porta e si conclude nella misericordia. Esso di trova nella “via che Cristo ci ha manifestato nel discorso della montagna con la beatitudine dei misericordiosi, [ che] è molto più ricca di ciò che a volte possiamo avvertire nei comuni giudizi umani sul tema della misericordia. Tali giudizi ritengono la misericordia come un atto o processo unilaterale, che presuppone e mantiene le distanze tra colui che usa misericordia e colui che ne viene gratificato, tra chi fa il bene e chi lo riceve. Da qui deriva la pretesa di liberare i rapporti interumani e sociali dalla misericordia e di basarli solamente sulla giustizia. Tuttavia, tali giudizi sulla misericordia non avvertono quel fondamentale legame tra la misericordia e la giustizia del quale parla tutta la tradizione biblica e soprattutto la missione messianica di Gesù Cristo. L'autentica misericordia è, per così dire, la fonte più profonda della giustizia. Se quest'ultima è di per sé idonea ad «arbitrare» tra gli uomini nella reciproca ripartizione dei beni oggettivi secondo l'equa misura, l'amore invece, e soltanto l'amore (anche quell'amore benigno, che chiamiamo «misericordia»), è capace di restituire l'uomo a se stesso.
EGUAGLIANZA 
A cesellare in maniera più fine questo discorso interviene una ulteriore affermazione del Magistero che possiamo considerare come preziosa cornice alla visione che ho tentato di comunicare e vale a dire che “ la misericordia autenticamente cristiana è pure, in certo senso, la più perfetta incarnazione dell'«eguaglianza» tra gli uomini, e quindi anche l'incarnazione più perfetta della giustizia, in quanto anche questa, nel suo ambito, mira allo stesso risultato. L'eguaglianza introdotta mediante la giustizia si limita però in ambito dei beni oggettivi ed estrinseci, mentre l'amore e la misericordia fanno si che gli uomini s'incontrino tra loro in quel valore che è l'uomo stesso, con la dignità che gli è propria. In pari tempo, l'«eguaglianza» degli uomini mediante l'amore «paziente e benigno» non cancella le differenze: colui che dona diventa più generoso quando si sente contemporaneamente gratificato da colui che accoglie il suo dono; viceversa, colui che sa ricevere il dono con la consapevolezza che anch'egli, accogliendolo, fa del bene, serve da parte sua alla grande causa della dignità della persona, e ciò contribuisce a unire gli uomini fra di loro in modo più profondo. Cosi dunque, la misericordia diviene elemento indispensabile per plasmare i mutui rapporti tra gli uomini, nello spirito del più profondo rispetto di ciò che è umano e della reciproca fratellanza. È impossibile ottenere questo vincolo tra gli uomini se si vogliono regolare i mutui rapporti unicamente con la misura della giustizia. Questa, in ogni sfera dei rapporti interumani, deve subire, per così dire, una notevole «correzione» da parte di quell'amore il quale --come proclama san Paolo-- «è paziente» e «benigno» o, in altre parole, porta in sé i caratteri dell'amore misericordioso tanto essenziali per il Vangelo e per il cristianesimo.”
INTERROGATIVI ESISTENZIALI
Il problema fondamentale resta comunque quello della difficoltà di comprendere quale sia la maniera più consona per attualizzare questa eguaglianza in termini concreti e storici, come effettuare questa correzione della giustizia percepita in termini prettamente umani e legulei.  Come fa l’uomo contemporaneo a raggiungere la pienezza della misericordia soprattutto nei rapporti socio-politico-economici, quando quell’egoismo di cui è permeata tutta la sua vita ed ogni propria azione lo porta a schermare i suoi atteggiamenti dietro strutture di legge che dietro la facciata di rispetto dei diritti nascondono la provenienza da volontà politiche ben precise che ne rendono difficile barattare il contenuto di convenienza e tornaconto, con quello più profondo ed umano della misericordia. “L'uomo contemporaneo sente queste minacce. Ciò che a tale riguardo è stato detto sopra è soltanto un semplice abbozzo. L'uomo contemporaneo si interroga spesso, con profonda ansia, circa la soluzione delle terribili tensioni che si sono accumulate sul mondo e si intrecciano in mezzo agli uomini. E se talvolta non ha il coraggio di pronunciare la parola «misericordia», oppure nella sua coscienza, priva di contenuto religioso, non ne trova l'equivalente, tanto più bisogna che la Chiesa pronunci questa parola, non soltanto in nome proprio, ma anche in nome di tutti gli uomini contemporanei.”
COME INTERPRETA LA MISERICORDIA DON STURZO
Eccoci giunti al clou del nostro tragitto. Anche se per qualcuno le precedenti riflessioni possono essere sembrate complesse e ridondanti nella volontà di ricercare il nucleo fondante della Misericordia, ebbene io credo che esse siano state funzionali per introdurre la maniera più corrispondente con cui Don Sturzo a mio avviso interpreta il concetto di Misericordia.
MISERICORDIA NELLA DSC
Credo che ormai tutti possiamo concordare sul fatto che egli sia stato un fautore quasi esclusivo della necessità di adottare i principi della dottrina sociale della chiesa. Infatti come si può constatare nei suoi discorsi egli non fa riferimento alla misericordia, come concetto a se stante e autonomamente definito, esattamente come le encicliche nelle quali la parola misericordia non si trova manifestamente riportata che al punto 19 delle Rerum Novarum e al punto 107 della Mater et Magistra del 1961 come citazione però della R.N.; al punto 12 della Octogesima Adveniens nel 1971; al punto 37 della Sollicitudo Rei Socialis nel 1987; al punto 37 della Spe Salvi nel 2007, dove viene riportata per tre volte la frase “eterna è la sua misericordia” citando l’apostolo Paolo; nella Caritas in Veritate di benedetto XVI nel 2009, la parola Misericordia viene riportata due volte la prima al punto 6 e la seconda al punto 79;mentre nella esortazione di Evangelii Gaudium di Papa Francesco nel 2013 trova 32 ricorrenze nei diversi punti; infine nella Laudato si’ del 2015 la parola misericordia ricorre una sola volta al punto 77. Non così invece è per le parole giustizia e carità che dalla Rerum Novarum alla Mater et Magistra trovano ricorrenze molto più consistenti .
Ma torniamo al nostro discorso sulla misericordia in Don Sturzo che pur se non esternata esplicitamente trova il suo compimento proprio nell’urgenza verso la giustizia permeata però dalla carità che hanno permesso al Prete di Caltagirone di raggiungere quei traguardi di umanità feconda che soltanto una visione compiuta di misericordia avrebbe potuto permettere.
BEATI I MISERICORDIOSI
La bellissima frase con cui si apre il sipario di questo convegno: “Beati i misericordiosi, perché essi troveranno misericordia. La giustizia non basta; è necessaria anche la misericordia nelle nostre relazioni con gli altri, proprio come noi domandiamo sempre misericordia a Dio per i nostri peccati”. “Come si potrebbe vivere nel mondo sotto il rigore della giustizia se non esistessero anche misericordia, compassione, pietà, clemenza?”, si domandava Sturzo.” manifesta l’urgenza di trovare una motivazione “altra” che potesse andare “oltre” l’idea della giustizia e questa ovviamente era rappresentata dal punto più elevato della carità che si concretizza nella misericordia.
COME OPERA LA MISERICORDIA
Ma per capire da dove scaturisce il senso di misericordia di Don Sturzo, si deve ripercorrere il suo cammino alla ricerca della giustizia nel segno della democrazia e dell’attenzione verso le classi più povere e disagiate. Questa misericordia lo fa diventare un paladino della democrazia, dell’uguaglianza e del riscatto delle classi più povere. Ma non gli basta però il solo riconoscimento di giustizia, perché nell’esercizio profondo di una carità specificamente umana il cui limite si confonde con l’urgenza del bene comune misurato dalla condizione del più debole ed emarginato, tenta indefessamente di promuovere un sentimento nuovo che non sia di semplice commiserazione, bensì di riconoscimento delle libertà e dei diritti inalienabili di ogni essere umano.
AUTENTICO SOSTENITORE DELLA DIGNITÀ DELL’ESSERE UMANO
Ecco perché egli pur essendo reputato liberista, in realtà non lo era, così come il regime che lo reputava comunista, bolscevico e sinistro non aveva capito che lo spirito di solidarietà e di misericordia che informava il suo senso della giustizia era guidato da una visione della carità che soltanto un animo sensibile e profondamente innamorato dei principi cristiani poteva manifestare. Tale sentimento si configura nella misericordia e rifiuta qualsiasi epiteto che non sia quello di autentico sostenitore della dignità dell’essere umano. Per lui infatti “il popolarismo è democratico, ma differisce dalla democrazia liberale perché nega il sistema individualista ed accentratore dello stato e vuole lo stato organico e decentrato; è liberale (nel senso sano della parola) perché si basa sulle libertà civili e politiche, che afferma uguali per tutti, senza monopoli di partito e senza persecuzioni di religione, di razza, di classe; è sociale nel senso di una riforma a fondo del regime capitalista attuale, ma si distacca dal socialismo perché ammette la proprietà privata, pur rivendicandone la funzione sociale; afferma il carattere cristiano, perché non vi può oggi essere etica e civiltà che non sia cristiana”
VISIONE CRISTIANA SOCIALE E DEMOCRATICA
In tale ottica che vedeva nella elaborazione teorica del popolarismo un fondamento del pensiero cattolico liberale si venivano ad integrare le visioni cristiano-sociale e democratico-cristiane che hanno fortemente segnato la presenza cattolica nella vita pubblica a cavallo dei due secoli passati e che lo stesso Luigi Sturzo ne ha definito la fisionomia politico culturale precisando che il popolarismo  trova nel campo della economia la sua base teorica riveniente dalla scuola cristiano-sociale che però si contrappone nello stesso tempo all’atomismo liberale da un lato ed al collettivismo socialista dall’altro, reputando come elementi necessari del popolarismo il regime costituzionale rappresentativo e le libertà civili e politiche. 
IL CONCETTO DI DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA
In questo quadro di pensiero tuttavia egli trova delle incongruenze inaccettabili in termini di rappresentanza, tanto che in uno dei suoi scritti più importanti esterna in maniera accorata la sua preoccupazione sulla inefficienza del sistema dei partiti in relazione alla formazione dei governi, soprattutto riguardo ai loro interessi e non certo a quelli delle classi più povere, sottolinea infatti che “Le fasi della crisi siciliana hanno dato occasione ad affermazioni addirittura incredibili sull'ingerenza direttiva e ordinativa dei partito nella formazione del Governo regionale. Mai, prima di oggi, era comparsa la direzione del partito in simili fasi politiche, assumendo responsabilità e impegni che né lo statuto del partito prevede, né la posizione di un'assemblea eletta dal popolo e un governo che rappresenta l'intera regione potrebbero tollerare. Si tratta di limiti invalicabili fra partito e governo, fra partito e parlamento, fra partito e amministrazioni pubbliche, fra partito ed enti statali, parastatali e simili. Non può concepirsi una pubblica amministrazione come l'opera dei pupi, dove ci siano i paladini che combattono contro i saraceni tenuti e tirati con i fili da sopra le quinte; e neppure come un convitto di corrigendi, messi in fila o messi in castigo dai prefettini, secondo gli ordini di un direttore.”
LIBERTÀ E AUTOLIMITAZIONE
Continuando nel proprio discorso di libertà ed autolimitazione egli non può fare a meno di rilevare l’assenza di giustizia e di attenzione ai diritti dei cittadini ad opera dei partiti e dei loro dirigenti dicendo che “Naturalmente, dietro i partiti, tutti i partiti, ci sono gruppi di spinta e interessi personali. Ve ne sono anche dietro i governi, tutti i governi, ma con la differenza che il governo è un potere responsabile, e risponde al Paese e risponde anzitutto al parlamento; il partito è un potere non responsabile; non risponde nemmeno agli elettori che gli danno il voto, né ai sostenitori che gli danno i mezzi: un partito, per definizione, non ha mezzi propri. E allora? C'è il rimedio: il dirigente del partito, (di tutti i partiti, nessuno escluso) godendo della libertà democratica la più illimitata, al punto da potere sfiorare il codice, deve sapersi autolimitare. L'autolimitazione è la contropartita della libertà illimitata. L’autolimitazione in regime di libertà è la regola generale per tutti gli organi della vita pubblica e per tutte le associazioni private che si occupano di pubbliche attività. Che dire se il parlamento invade i poteri dell'amministrazione attiva? E se il governo invade il parlamento? Se la magistratura si sente superiore alla legge o se il parlamento rende inoperanti le sentenze del magistrato? Se il capo dello Stato tende a sostituire il governo o se il governo tende a ingerirsi nelle funzioni del capo dello Stato? Quale Babilonia! Ma questi sarebbero peccadillos in confronto alla mancanza di senso di limite dei partiti al punto da qualificare come delegazione la partecipazione ai governi di "coalizione".
CREDITO E BANCHE
 Un altro passo caratterizzante del suo pensiero che lascia trasparire il senso profondo della misericordia si può intravvedere quando parla della condizione del credito dicendo che  “Le banche sono in grandissima parte enti statizzati o addirittura statali o con partecipazione statale e per giunta, agli effetti dei tassi attivi e passivi, legati a un cartello politicamente imposto. Conseguenza: alto costo del denaro anche quando la liquidità bancaria sia arrivata come oggi a un livello preoccupante. Certi giornali filo Dc hanno accusato gli industriali di lasciare giacere il denaro invece di prendere iniziative produttive; è facile fare della demagogia, quando fin oggi la politica italiana filosocialista ha scoraggiato l'iniziativa privata. Non ripeto quello che scrissi nel mio articolo «Ridare fiducia». Vi è rapporto obbligato tra fiducia nell'avvenire e maggiore iniziativa; tra libertà economica e maggiore iniziativa; tra fiscalità e maggiore iniziativa; certe regole non possono essere violate impunemente.”
ATTUAZIONE PRATICA DELLA MISERICORDIA
In ragione della sua visione eticamente impostata sulla coscienza della giustizia nella strutturazione di relazioni umane informate da una carità misericordiosa egli non si rifiuta di accettare l’esilio, la contestazione dei suoi superiori gerarchici, né le intriganti posizioni dei suoi compagni di partito pur di mantenere aperta la porta del dialogo mirato al riequilibrio dei poteri in favore delle classi più povere. Non per niente egli combatte in maniera determinata e senza nascondersi dietro il suo status di prete, tutte quelle che ritiene essere le nefandezze di un sistema politico formato da concussione, corruzione e violenza gratuita. Egli combatte ma non porta rancore, perché il rancore è il vuoto dell’anima dove non ha posto la misericordia, ma soltanto il risentimento di ciò che rimanendo incompiuto in termini di orgoglio umano, continua a bruciare come fuoco rovente ogni angolo della propria esistenza. Forse è stata proprio questa la caratteristica recondita che lo ha guidato nelle sue molte battaglie. Il suo atteggiamento di misericordia lo ha sempre portato, anche nei conflitti più aspri a distinguere il peccato dal peccatore e questo per chi si occupa di politica sappiamo che è estremamente difficile. Egli conosceva profondamente la natura dei partiti in quanto nella sua visione essi si distinguono in maniera netta dalla nobiltà dell’azione politica che è di elevato spessore etico, perché essendo di parte non possono che guardare ai propri interessi e a quelli dei loro adepti ecco perché in un suo discorso egli spiega che "E' superfluo dire perché NON ci siamo chiamati "partito cattolico": i due termini sono antitetici; il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione. Fin dall'inizio abbiamo escluso che la nostra insegna politica fosse la religione, e abbiamo voluto chiaramente metterci sul terreno specifico di un partito, che ha per oggetto diretto la vita pubblica della nazione".)
RELAZIONE STATO, CITTADINO, SOCIETA’ IMPRESA
Ecco perché essendo convinto dell’azione edificante originata dalla relazione tra stato e cittadino, fra cittadino e società e tra iniziativa privata e sussidiarietà, in funzione di quella che potremmo giustamente chiamare come visione dello “sviluppo integrale dell’uomo” egli si scaglia con forte determinazione contro  “l’idea di uno Stato-tutto” contro il fatto che “nessuno ha più ritegno di invocare provvedimenti e interventi statali per la più insignificante iniziativa". Contro i “commissari governativi-antifascisti al posto dei fascisti - ma sempre commissari - arbitri di enti statali parastatali, soprastatali... tutti con tanto di marchio di fabbrica: lo Stato".” Contro "le amministrazioni autonome” degli enti; contro “ i ministri [perché] sono oppressi da affari personali (sì da aver poco tempo per quelli pubblici), perché tutto il mondo vuole un piccolo o grande commissariato, un posto nei gabinetti o nei sottoscala, ma un posto in qualcuno dei tanti uffici dipendenti dallo Stato, perché tutto il mondo italiano vuole dipendere dallo Stato". Contro “un progetto monstre per trasformare un servizio occasionale che dovrebbe finire presto, in un ministero permanente, che abbia sotto di sé sanità, assistenza sociale, assicurazioni e chi più ne ha più ne metta, sì da statizzare completamente i servizi assistenziali". Contro quello che ancora oggi rende il suo pensiero e questa sua contrarietà di estrema attualità nel denunciare che "Altra statizzazione che si medita è quella dell'assistenza emigratoriale; altri controlli che si preparano sono diretti ad asservire le cooperative; fascismo, fascismo puro; statalismo soffocante, rosso invece che nero; ma statalismo. Tutto ciò non disturba i sonni dell'italiano medio, che sarebbe felice se lo Stato potesse togliergli le preoccupazioni della vita. Il fascismo passò allo Stato i segretari comunali; chi ha il coraggio oggi di farli rientrare nei ranghi propri? Lo Stato si prese tutti i maestri elementari, creando un accentramento invero simile e un grattacapo al ministero dell'istruzione, senza precedenti. Oggi nessun deputato azzarderebbe la proposta di far ritornare i maestri ai Comuni. Perderebbe la medaglietta; avrebbe le ire anche dei maestri cattolici che per non sembrare da meno dei loro colleghi, vogliono mantenere le "conquiste della classe". perché "L'essere statale è una conquista di classe, perché lo Stato paga e i Comuni non pagavano; lo Stato classifica, sposta, decide ex cathedra; il Comune no, non poteva, perché viveva e vive la vita grama dei poveri, sottoposto anch'esso a una insopportabile ingerenza statale, che ne impedisce lo sviluppo e l'attività. E dire che siamo nel Paese delle "cento città", della vita municipale piena di grandezze e di ricordi, i cui monumenti "comunali" hanno l'impronta del genio, mentre quelli dello Stato burocratizzato hanno l'impronta della mediocrità e della insipienza".
CONCLUSIONI
Si potrebbe continuare a lungo data l’attualità del suo pensiero che oggi a più di 50 anni dalla sua morte ritorna costantemente nelle realtà quotidiane che i mass media ci raccontano riguardo alla burocrazia, ai partiti alle banche agli immigrati, alle cooperative ecc. ma non essendo questa la sede anche se il discorso è appassionante, io terminerei questa ricerca della visione di misericordia in don Sturzo per me razionalmente strutturata in termini umani e spirituali che egli ha saputo coltivare sviluppare e trasmettere non solo ai suoi contemporanei ma anche a noi che ne seguiamo le orme  con un confronto con il vangelo di Luca 3, 10-18 laddove Giovanni il Battista  traccia chiaramente il percorso di giustizia, carità e misericordia che ho tentato anche io di tratteggiare sin dall’inizio di questa relazione  e che certamente Don Sturzo ha esercitato e sperimentato durante tutti gli anni della sua missione terrena, vale a dire  che alle folle l’esortazione di Giovanni era “chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto” quale ripristino del fondamento di giustizia commutativa perduto. Ai pubblicani ammonisce “non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato” per essere ricondotti, senza necessità di ricorrere al rispetto di un parametro di giustizia ad una discrezionalità positiva, in un ambito di relazione umana che si ricostituisce sulla volontà di riscoprire quel sentimento di carità che alberga nel cuore degli uomini. Infine ai soldati dà un consiglio che supera e ingloba le sue precedenti risposte: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”. 


BIBLIOGRAFIA
(DA WIKIPEDIA ULTIMO ACCESSO 15/12/2015)
  • Luigi Sturzo, Opera omnia, edizione in formato digitale: [1]
  • Luigi Sturzo, Mario Sturzo, Carteggio, a cura di Gabriele De Rosa, 4 volumi + 1 fascicolo di Indici 1926-1940, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Roma, Istituto Luigi Sturzo, 1985
  • Luigi Sturzo, Battaglie per la libertà : 1952-1959, 2 volumi, Palermo, Ila Palma, 1992. ISBN 8877041676.
  • Luigi Sturzo, Lettere non spedite, a cura e con introduzione di Gabriele De Rosa, Bologna, Il Mulino, 1996, ISBN 978-88-15-05231-5
  • Luigi Sturzo, Scritti inediti, a cura di Francesco Piva, Franco Rizzi, Francesco Malgeri, prefazioni di Gabriele De Rosa, 4 volumi, Roma, Istituto Luigi Sturzo; Palermo, Editrice Mediterranea, 2001
  • Luigi Sturzo, Emanuela Sturzo, Carteggio (1891-1948), a cura e con introduzione di Vittorio De Marco, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, ISBN 88-4981-199-3
  • Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi, Carteggio (1920-1953), a cura e con introduzione di Francesco Malgeri, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006, ISBN 978-88-4981-794-2
Opere scelte di Luigi Sturzo, a cura di Gabriele De Rosa, Roma-Bari, Laterza, 1992. Comprende: